Se le case sono uguali ma le rendite diverse

Fonte: Il Sole 24 Ore

La grande illusione delle categorie catastali ha lasciato per anni l’amaro in bocca a centinaia di migliaia di proprietari che, a fronte di case praticamente identiche, hanno subìto pesanti sperequazioni fiscali. E tutto per un numero: perché il loro immobile è stato inserito nella categoria catastale A/2 (civile) anziché A/3 (economica). La differenza ufficiale, riportata qui a fondo pagina, è difficile da capire, eppure si tratta del 70% del patrimonio abitativo: 11,3 milioni le A/2 e 11,8 milioni le A/3. In sostanza, nei piccoli centri, molti hanno avuto la sfortuna di vedersi classare l’immobile con «caratteristiche costruttive residenziali» invece che con «caratteristiche di economia e impianti indispensabili».
Distinzioni che, soprattutto negli anni Settanta, hanno mietuto vittime. Ecco perché case indistinguibuili tra loro hanno differenze di valore catastale del 25-30 per cento o peggio. Ed ecco perché in quelle situazioni i valori catastali attuali superano quelli di mercato rilevati dall’Osservatorio immobiliare dell’agenzia del Territorio, che diventeranno probabilmente il punto di riferimento per il nuovo catasto. Non solo. Chi si dia la pena di fare un giro tra le articolate e dettagliate schede che l’Omi ha dedicato ai valori locativi e di compravendita in migliaia di Comuni italiani, osserverà che fuori dai centri medio-grandi i prezzi delle abitazioni si riferiscono a case medie, nuove o usate, senza distinzioni tra case «civili» o «economiche». La stessa agenzia del Territorio, quindi, riconosce che nei centri minori e nei paesi queste differenze non hanno senso. La riforma del catasto, quindi, dovrà passare dall’abrogazione delle vecchie categorie. Ma ci sarebbe da chiedersi se non sia possibile sanare ora, subito, le assurdità perpetuate per decenni.

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