Se il taglialeggi ci fa un baffo

Fonte: Il Sole 24 Ore

Siamo ormai all’ultima curva del decennio, è tempo di bilanci. Anzitutto in relazione alla qualità delle leggi italiane, che pesa sulle imprese come sui cittadini. Tanto che il governo in carica ha avvertito l’esigenza d’insediare un ministro per la Semplificazione normativa, ed è la prima volta che succede. Tuttavia se prima del terzo millennio capitava d’imbattersi in chicche come la legge della regione Abruzzo 12 giugno 1998, n. 53 il cui articolo 2 definisce «di massima serie» la Pallanuoto Pescara, sicché a norma di legge questa squadra non può mai retrocedere – durante gli anni Zero le chicche si moltiplicano, diventano i chicchi d’un granaio. Al degrado formale delle leggi s’accompagna la loro espansione, non tanto quantitativa (nel biennio 2008-2010 la media parlamentare è di 6,5 leggi al mese), quanto – per così dire – volumetrica. Negli anni Zero ogni atto legislativo si gonfia come un panettone, e infatti la finanziaria 2007 straccia tutti i record precedenti: 1.365 commi, 338 pagine, milioni di parole deposte sulla carta come coriandoli. Colpa della ragion politica, che se ne infischia della ragione tecnica. E così la tenaglia dei maxiemendamenti e dei voti di fiducia (1,3 al mese nel biennio 2008-2010, un altro record), insieme all’abuso della decretazione d’urgenza, finisce per sequestrare il Parlamento, ma al contempo seppellisce tutte le buone intenzioni circa il risparmio di diritto in un paese ingolfato dal diritto. Il comitato per la legislazione della Camera ha esposto i numeri di questa ipertrofia: nel biennio 2006-2008 ogni decreto legge ospitava in media un 1,128 milioni di caratteri, nei due anni successivi la media sfonda i 2 milioni. C’è una scena, o meglio una sceneggiata, che restituisce il clima del decennio. Nel marzo scorso il ministro Calderoli convoca giornalisti e vigili del fuoco e brucia con un lanciafiamme 375mila leggi inutili. Come avrà fatto, se la commissione Pajno – istituita nell’ambito della Taglialeggi – tre anni fa ne aveva contate 21.691? Semplice: perché il ministro ha rivenduto come leggi all’opinione pubblica un’insalata di regolamenti, con l’aggiunta di qualche fossile legislativo con un secolo di vita sul groppone, e di cui nessuno ricordava l’esistenza. Come diceva Christian Friedrich Hebbel, talvolta sembra che bussi alla tua porta il diavolo, ma non è che lo spazzacamino. Eppure gli anticorpi che dovrebbero debellare l’infezione sono già in circolo nel nostro ordinamento. Per esempio l’Air: serve a valutare l’efficacia delle regole prima di stamparle a caratteri di piombo sulla Gazzetta Ufficiale, ma dall’unica relazione al Parlamento fin qui depositata (13 luglio 2007) scopriamo che in un caso su due l’esame viene allegramente disatteso. Quanto alla codificazione del diritto, durante gli anni Zero ci siamo finalmente liberati dei testi unici “misti” (l’ultimo è del 2003), che accorpavano leggi e regolamenti, destando non pochi grattacapi circa la loro efficacia giuridica formale. Però abbiamo inventato testi unici dove al posto degli articoli figurano puntini (…): è il caso del decreto 344/2003 di riordino della tassazione delle società. E i codici? Lungo il decennio ne è stata licenziata più o meno una dozzina, molto al di sotto di quanto sarebbe stato necessario. E il più delle volte il codice viene poi smontato e rimontato come un Lego: tanto per dire, il codice Urbani del 2004 – che assembla le disposizioni sui beni culturali e sul paesaggio – è stato modificato in profondità per tre volte fra il 2006 e il 2008. Da qui l’ambizione di mettere un punto fermo nel gran libro delle leggi. Da qui la ghigliottina meglio nota come “Taglialeggi”. Un meccanismo in tre tempi, inventato dalla legge n. 246 del 2005: durante la prima fase una ricognizione delle norme in vigore; nella seconda fase l’abrogazione automatica di tutti gli atti legislativi anteriori al 1970, salvo quelli espressamente richiamati dall’esecutivo; nella terza fase l’accorpamento delle norme superstiti in codici omogenei. Senonché in Italia quasi mai i governi sanno resistere alla tentazione di smantellare i progetti partoriti dai governi precedenti; ciascuno vuole metterci del suo, anche a costo di complicare la semplificazione. E così nel 2008 due decreti legge (n. 112 e n. 200) hanno rovesciato l’abrogazione implicita prevista dalla Taglialeggi, trasformandola in abrogazione espressa, dopo avere individuato 36mila atti legislativi da amputare. Talvolta sparando contro un soldato morto (per esempio la storica legge n. 2.359 del 1865, abrogata dal decreto 112, in realtà era stata già abrogata nel 2001); talvolta uccidendo un generale, invece che un soldato semplice (la scure del decreto 200 si è abbattuta per errore su disposizioni che regolano gli albi professionali, le società fiduciarie, gli enti locali, l’abolizione della pena di morte, feste e monumenti nazionali). Infine la legge n. 69 del 2009 ha spostato in avanti l’orologio: la ghigliottina avrebbe dovuto scattare nel 2009, se ne parlerà (forse) nel 2012. Campa cavallo.

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