Lunghe cicatrici chiare, proprio come quelle che restano sulla pelle umana: spesso le cave appaiono così. Una metafora che corrisponde alla realtà. Sono ferite aperte dall’uomo nel corpo della Terra per rubarle frammenti di ossa – pietre e marmi – per le sue necessità. Estrarre non è mai innocuo. Cambia il paesaggio, lo ritraccia, lo incide non solo con gli scavi ma con le macchine per tagliare la pietra e le strade per trasportare i blocchi. E in qualche caso, addirittura, le cave diventano il paesaggio. Lo aveva spettacolarmente dimostrato, tempo fa, la mostra L’oro delle Apuane, a Seravezza (Lucca), dove si esibivano disegni, acquarelli, oli di pittori che avevano voluto ritrarre la bellezza delle cave e l’epopea dei cavatori, dalle diciotto vedute quasi scientifiche di Saverio Salvioni ai dipinti e acquerelli di John Singer Sargent che per realizzarli nel 1911 aveva passato due mesi sulle Apuane. Oggi un’altra mostra, Architetture di cava, questa volta fotografica, rivela al pubblico la seconda vita delle cave. Quella che una legislazione quanto meno inadeguata vorrebbe di “ripristino morfologico”. «Un’utopia», dice il curatore, l’architetto Vincenzo Pavan «perché quando una cava dura decenni, a volte secoli, ipotizzare, alla chiusura, un ripristino del paesaggio è semplicemente assurdo». Riempire i buchi con terra o con il classico laghetto, ripiantare gli alberi, magari dopo aver ricavato delle scalinature nella parete tagliata, è illusorio: il paesaggio non sarà mai restituito alla sua condizione originaria, ammesso e non concesso che questo sia il giusto criterio. Nella mostra Pavan ha invece voluto mostrare qualcosa di diverso: «I casi creativi, quelli eccezionali, una piccola antologia delle soluzioni possibili alla questione delle cave». Qualche caso? «Ci sono cave vicine alle città che vengono integrate al tessuto urbano, per esempio parchi e piscine; altre sotterranee che nascono già come grandi architetture ipogee e ospitano poi spettacoli, come le cave francesi o Cava Arcaria a Vicenza. Tra l’altro sono molte le cave che vengono usate per gli spettacoli, anche perché quelle all’aperto talvolta hanno già la forma di un anfiteatro. Interessanti sono poi le cave riportate alla luce vicino alla costa atlantica francese per diventare aree di sosta o quella spagnola, ad Alicante, diventata una stazione del tram vicino al mare. In Galles e Cornovaglia, poi, cave sono diventate il “sedime” per orti botanici, con microclimi anche tropicali ricreati grazie a cupole di metallo e plastica». Per il miglior recupero delle cave che cosa bisognerebbe fare? «Fin dall’inizio, prima di cominciare a scavare, serve un progetto complessivo messo a punto da un’équipe. In genere per fare nascere una cava si chiamano geologi e ingegneri minerari. Per progettare anche il “dopo” della cava servirebbero anche paesaggisti, architetti, agronomi, esperti di impatto ambientale». E, ovviamente, volontà e fantasia.
Piscine, teatri, parchi la cava ha un cuore nuovo
Ambiente – Reinventare il paesaggio con gli scavi dismessi
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