Per le ex province una dote di 9 miliardi

Fonte: Il Sole 24 Ore

Appena archiviato il capitolo delle elezioni, per le nuove province e le neonate città metropolitane si apre la partita vera: quella delle risorse finanziarie. Una partita necessaria per far funzionare le nuove realtà, a sua volta strettamente connessa con i compiti che a queste saranno assegnati.

Con le elezioni di secondo livello nelle ultime 58 province si è chiusa ieri la prima e lunga maratona elettorale voluta dalla legge Delrio, che ha cambiato volto alle province e ha previsto la nascita di dieci città metropolitane. Di diverso rispetto al passato ci sono sostanzialmente due fattori: a scegliere i rappresentanti delle istituzioni sono stati solo sindaci e consiglieri comunali dei comuni della provincia; i neoeletti, inoltre, non percepiscono alcuna indennità per il mandato (con un risparmio sulle indennità quantificabile in 100 milioni l’anno).

Anche se lavoreranno a titolo gratuito, i quattro presidenti di provincia, i 760 consiglieri provinciali e i 162 consiglieri metropolitani appena insediati si troveranno 9 miliardi di dote da gestire. A tanto ammontano, almeno sulla carta, le entrate delle province. Il dato si ricava dai bilanci 2013 (si veda anche la tabella a fianco): è quello che ha fatto la Corte dei conti, che ha calcolato in 10,6 miliardi il totale delle entrate delle amministrazioni provinciali. Per il 2014 però la situazione è già diversa: i tagli della spending review hanno fatto scomparire 1,6 miliardi di euro. Restano, appunto, 9 miliardi, per metà (52%) frutto di entrate tributarie e un’altra buona parte (circa 40%) di trasferimenti da Stato e regioni.

In realtà la cifra esatta delle risorse da amministrare per i nuovi enti di area vasta non è ancora stabilita.

Perché prima ancora del budget di spesa quello che manca al lento processo di riordino è definire nel dettaglio di cosa si occuperanno le nuove realtà. In altre parole, il riassetto è fermo a metà: la legge Delrio (la 56/2014) ha elencato solo le funzioni fondamentali che restano a province e città metropolitane: scuole superiori (edilizia scolastica), trasporti locali, strade di livello provinciale. Mentre è ancora del tutto aperta la partita delle funzioni cosiddette non fondamentali (e niente affatto trascurabili): cultura, turismo, trasporto scolastico, assistenza sociale.

L’accordo raggiunto in Conferenza unificata a inizio settembre assegna a ogni regione tempo fino al 31 dicembre per decidere come ripartire competenze e risorse sia economiche che umane. Compito che le regioni avrebbero, in realtà, dovuto concludere entro l’8 ottobre, come prevede la legge, ma che ha dovuto subire uno slittamento per il ritardo dell’intesa con gli enti locali, a sua volta prevista per inizio luglio.

La direzione del riordino sarà, con tutta probabilità, quella di un alleggerimento delle province a favore di comuni, città metropolitane o regioni, con uno sguardo al traguardo più lontano della riforma costituzionale del Titolo V, che sopprime le province. Traguardo che richiede, però, ancora tempo, perché il testo è stato licenziato a inizio agosto dal Senato ed è ora all’esame di Montecitorio, ma, come tutte le riforme costituzionali, è obbligato a un doppio passaggio presso ciascuna Camera.

Tornando alle risorse, quindi, una volta concluso il riordino anche i 9 miliardi di partenza sono destinati a diminuire.

I tempi sono molto stretti. Anzi, la tabella di marcia è già stata superata: sarebbe dovuto arrivare l’8 luglio, per esempio, il decreto del presidente del Consiglio con i criteri per la mappatura dei beni e delle risorse connesse alle funzioni oggi svolte a livello provinciale. Ma dopo il via libera in conferenza unificata, del testo definitivo si sono perse le tracce. Da quando il decreto sarà in vigore i nuovi “enti di area vasta” avranno solo 15 giorni per il censimento vero e proprio, da far visionare al proprio osservatorio regionale e poi a quello nazionale, nato il 7 ottobre proprio con il compito di coordinare il riassetto.

Per tutti la scadenza è il 1° gennaio 2015: tra meno di tre mesi, in teoria, province e città metropolitane dovrebbero ripartire con il nuovo assetto e la nuova dote. Ma certo non con i conti in ordine: da un lato, secondo i calcoli di Aida Pa, le vecchie gestioni lasciano in eredità una montagna di debiti (10 miliardi al monitoraggio 2012); dall’altra, già oggi le province rivendicano la mancanza di 8 miliardi di crediti, finiti ora tra i residui, assegnati ma mai arrivati a destinazione: tre dallo Stato e cinque dalle regioni.

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