Patto di stabilità 2013, le considerazioni della Corte dei conti

La Corte dei conti, con delibera n. 17 della Sezione delle autonomie, ha approvato la relazione al Parlamento sul Patto di stabilità interno degli enti territoriali per l’esercizio 2013
La Sezione ha riunito in un unico referto le analisi sui dati di monitoraggio del Patto sia delle Regioni che degli enti locali (comuni e province), offrendo così una visione d’insieme delle problematiche e degli effetti finanziari che nel corso del tempo hanno interessato l’intero comparto delle autonomie territoriali.
Le analisi sono precedute da specifici riferimenti alla disciplina del Patto ed alla sua evoluzione negli ultimi anni, con raffronto tra i diversi parametri utilizzati per definire gli obiettivi e le finalità perseguiti.

Lo studio congiunto dei fattori che concorrono a determinare le risultanze del Patto ha consentito alla Corte di focalizzare le modalità con cui i diversi enti sono riusciti a raggiungere gli obiettivi, pur in un quadro di reiterate manovre di finanza pubblica, le quali, nel quinquennio 2009-2013, si sono tradotte in un abbattimento complessivo di spesa pari rispettivamente a 17,2 miliardi di euro per il settore regionale (di cui 10,5 miliardi per le Regioni a statuto ordinario e 6,7 miliardi per le Regioni a statuto speciale) ed a 16,3 miliardi per il comparto enti locali (di cui 3,9 miliardi per le province e 12,4 miliardi per i comuni).

Nello stesso arco temporale (nel corso del quale il Patto è sempre stato rispettato da tutte le Regioni ad eccezione dell’anno 2009), ha osservato la Sezione come la spesa delle Regioni a statuto ordinario vincolata al Patto sia costituita, per i due terzi, da spese in conto capitale, senza che la tendenza ad escludere le spese di investimento dal Patto abbia prodotto l’effetto di agevolare gli investimenti regionali. Questi ultimi, infatti, si sono ridotti molto più rapidamente delle spese correnti (con una contrazione aggiuntiva stimabile nell’ordine di circa 5 miliardi), evidentemente per effetto della loro minore rigidità, che meglio si presta a favorire il raggiungimento degli obiettivi del Patto. 
Occorre notare, altresì, come la disciplina del Patto di stabilità per le Regioni a statuto speciale abbia penalizzato gli investimenti in modo più significativo di quanto non abbia fatto la normativa dettata per le Regioni a statuto ordinario, determinando il rallentamento dei pagamenti ed  un maggior accumulo di residui passivi.

Ciò induce a ritenere che il metodo di programmazione sin qui seguito, per quanto temperato da meccanismi di premialità introdotti per gli enti virtuosi ma mai seriamente attuati, tende a penalizzare le amministrazioni più efficienti. La stessa introduzione, a decorrere dal 2014, di un unico tetto di spesa espresso in termini di competenza euro-compatibile non solo potrebbe rendere di più difficile attuazione la gestione dei patti di solidarietà territoriale (il cui ruolo andrebbe invece valorizzato), ma potrebbe anche concorrere a determinare la caduta verticale della spesa per investimenti, qualora non venissero diversificati gli obiettivi della spesa corrente da quella in conto capitale.

Dall’analisi del rapporto di composizione del peso finanziario imposto dalle manovre di risanamento, emerge che il 25,3% delle misure di risparmio ha inciso su comuni e province. Quanto alle componenti del saldo, è significativo notare che i risparmi sulla spesa corrente del sotto-settore “Amministrazione locale” (composto da Regioni, province, comuni, enti del comparto sanitario locale, e altri enti compresi nelle amministrazioni locali) sono imputabili per il 34,7% a province e comuni, per il 32,8%, suddetti enti della sanità locale e per il 30,8% alle Regioni. I comuni (nel cui ambito sono da considerare, per la prima volta, anche gli enti compresi nella fascia demografica tra 1.000 e 5.000 abitanti) hanno raggiunto gli obiettivi del Patto con notevole miglioramento (su 5.516 comuni, risultano inadempienti solo 121, pari al 2,2%, per la maggior parte di piccole dimensioni).

Per le province, invece, il differenziale tra il saldo finanziario conseguito ed il saldo obiettivo è risultato di minori proporzioni (su 102 enti, le Province inadempienti sono 11, pari al 10,8%). 
Il fenomeno trova spiegazione nella diversa strategia seguita dagli enti nella gestione delle risorse. Mentre i comuni hanno ridotto sensibilmente i pagamenti in conto capitale, utilizzando la maggior parte delle anticipazioni di cassa rese disponibili dal d.l. n. 35/2013 (cd. “sblocca debiti”) per ripianare i debiti correnti di funzionamento, le province hanno inteso assorbire i tagli con risparmi sulla spesa corrente, potenziando lo smobilizzo dei debiti, soprattutto di parte capitale, con i mezzi straordinari di pagamento del medesimo d.l. n. 35 del 2013.

Una lettura attenta dello stato di salute finanziaria dei comuni mostra, peraltro, come le disponibilità in esubero, costituite dal maggior differenziale del saldo di competenza rilevante ai fini del Patto, siano sintomatiche, piuttosto che di equilibri di bilancio meno precari, di una endemica debolezza strutturale del ciclo di bilancio, caratterizzato da una forte contrazione dei flussi di cassa quale effetto di una prolungata sovrastima delle riscossioni in entrata e di un conseguente accumulo di debiti correnti di funzionamento, ripianabili solo grazie ad una massiccia iniezione di liquidità.

Per quanto riguarda le previsioni di bilancio 2014, la la Sezione autonomie della Corte dei conti ha emanato anche la delibera n. 18 per una gestione, in esercizio provvisorio, ispirata ai principi di prudenza e atta a salvaguardare la permanenza in corso d’esercizio degli equilibri di bilancio, indirizzi che si aggiungono a quelli formulati nella delibera n. 23/AUT/2013.

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