P.a. zavorra per le imprese

Uno studio dell’Istituto per la competitività (I-Com) per conto del Cndcec

Italia Oggi
26 Maggio 2011
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%
I pagamenti lumaca delle pubbliche amministrazioni costano alle imprese italiane quasi 2 miliardi di euro all’anno. Per la precisione, nel 2010, l’aggravio economico sulle aziende fornitrici delle p.a. è stato pari a 1,9 miliardi di euro, di cui 1,6 miliardi rappresentano un costo secco, imputabile alla necessità di ricorrere al credito bancario per ottenere la liquidità. Non una partita di giro tra p.a. e imprese, quindi, ma un vero e proprio esborso finanziario, dal momento che lo spread tra il tasso d’interesse medio pagato sui finanziamenti a breve e quello sui Bot a tre mesi ha superato lo scorso anno il 4%. È quanto evidenzia uno studio condotto da I-Com (Istituto per la competitività) per conto del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, presentato ieri a Roma in occasione dell’assemblea della categoria. Dalla ricerca emerge che nel 2010 il ritardo dei pagamenti del settore pubblico rispetto ai termini originari previsti dal contratto di fornitura è stato in media di 86 giorni. Un dato record, sia se raffrontato a quanto avviene in Italia nel settore privato, nel quale il ritardo medio è di circa 30 giorni, sia se paragonato a ciò che succede oltreconfine. Il ritardo medio nei pagamenti da parte delle p.a. dell’Ue si attesta infatti intorno ai 27 giorni, che scendono a 21 nel caso della Francia, a 19 per il Regno Unito e a 11 per la Germania. Secondo I-Com, laddove gli enti pubblici italiani procedessero alla regolazione monetaria delle forniture con le stesse tempistiche del settore privato, il risparmio netto per le imprese potrebbe valere 1,2 miliardi di euro, mentre la collettività ne beneficerebbe con una mancata perdita di un miliardo di euro. Ancora più rilevanti i benefici qualora i tempi di pagamento fossero allineati alla media comunitaria (con risparmi rispettivamente pari a 1,3 e 1,18 miliardi di euro). Dall’analisi si evince peraltro che il ritardo nei pagamenti pubblici è gradualmente aumentato nel tempo: nel 2008 in Italia era pari a 40 giorni, corrispondenti a un costo per le imprese di 951 milioni di euro, nel 2009 è salito a 52 giorni, per un costo di 732 milioni (calo dovuto all’abbassamento dei tassi medi praticati dalle banche), per arrivare agli 86 giorni del 2010. Nell’ambito dello studio in commento, un’ulteriore indagine svolta dall’Istituto per la competitività nello scorso mese di aprile offre dati ancor meno incoraggianti. Da un campione di 145 mila imprese, appartenenti a 17 associazioni industriali particolarmente esposte verso le p.a. (dalle costruzioni ai dispositivi medici, dall’elettronica alla farmaceutica) e che conseguono complessivamente ricavi pari a 365 miliardi di euro, è emerso che nel 72% dei casi il ritardo dei pagamenti della p.a. è almeno pari a 6 mesi. Dati che portano I-Com a concludere che «sia dai confronti internazionali che da quello con il settore privato, ma anche con approfondimenti ad hoc sui settori maggiormente esposti verso la p.a., il fenomeno del ritardo dei pagamenti ha ormai raggiunto e superato livelli di guardia, con effetti non più soltanto micro e redistributivi ma anche macro e allocativi». «Il ritardo nei pagamenti delle p.a. è uno degli aspetti che meglio evidenziano il cattivo funzionamento della spesa pubblica italiana», osserva il presidente del Cndcec, Claudio Siciliotti, «in Italia, a differenza che altrove, le imprese sono chiamate a concorrere alla tenuta dei conti non solo attraverso il pagamento delle imposte, ma anche sul piano finanziario. Se la p.a. non ragionasse da controparte che può tra l’altro approfittare della propria posizione dominante, dovrebbe porre in cima alla propria agenda il tema della puntualità dei pagamenti». Dal numero uno dei commercialisti arriva anche un riferimento alla possibilità, introdotta dalla manovra estiva 2010, di compensare i debiti tributari iscritti a ruolo con i crediti commerciali vantati nei confronti degli enti pubblici, ancora ferma ai box in attesa dei decreti attuativi. Nelle more, secondo Siciliotti, «si potrebbe pensare di subordinare tale utilizzabilità in compensazione al rilascio di una apposita attestazione da parte di un professionista abilitato al rilascio del visto di conformità del credito Iva».

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento