Nuove Province, 12mila “esuberi”

Fonte: Il Sole 24 Ore

Non c’è solo l’ombra del default, evocata dall’Upi, ad aleggiare sul debutto delle province di secondo livello e delle città metropolitane, previsto il 1° gennaio prossimo. L’operazione, che secondo la legge di Stabilità 2015 partirebbe con il contemporaneo taglio di 1 miliardo sul 2015, 2 miliardi sul 2016 e 3 miliardi sul 2017, avrà anche una ricaduta diretta sul personale di questi enti. Secondo le ipotesi tecniche in circolazione si potrebbero determinare non meno di 12-13mila dipendenti da trasferire in altre amministrazioni utilizzando anche (ma non solo) le procedure di mobilità.

Alla cifra s’arriva seguendo la logica della legge Delrio (56/2014): le persone seguono le funzioni trasferite con l’obiettivo di superare e ridurre gli attuali dimensionamenti organici.

Ebbene, secondo il quadro macro su cui si sta ragionando, dei circa 52mila dipendenti impiegati nelle 107 province attuali, circa 13mila verrebbero confermati sulle nuove funzioni fondamentali attribuite ai futuri enti riformati (ambiente, viabilità ed edilizia scolastica), altri 13mila andrebbero alle 10 città metropolitane, 5/6mila verrebbero confermati su funzioni trasversali di tipo amministrativo e tecnico, mentre altri 8mila addetti dei centri provinciali per l’impiego resterebbero a questa funzione con trasferimento o regionale o nazionale a seconda della configurazione che avrà la futura Agenzia nazionale per l’occupazione prevista dal Jobs Act. Restano da ricollocare, appunto, 12/13mila persone che, stando alla lettera della legge 56 e agli accordi successivi con le Regioni e i sindacati, non possono essere tecnicamente definiti come esuberi ma che di fatto lo diventano.

Il dossier è molto complesso e prevede processi di trasferimento/mobilità di dipendenti pubblici che non hanno precedenti recentissimi. Per trovare un caso simile bisogna risalire alle 40mila richieste di mobilità volontaria che nel 1988 arrivarono sul tavolo dell’allora ministro della Funzione pubblica, Paolo Cirino Pomicino, o al trasferimento dei 23mila dipendenti degli uffici di collocamento che cambiarono datore di lavoro pubblico (dal ministero del Lavoro alle province) quando ministro della Pa era Franco Bassanini nel 1998.

I paletti da rispettare per gestire questi trasferimenti sono contenuti in un Dpcm già adottato ma ancora non pubblicato in Gazzetta Ufficiale (è al vaglio della Corte dei conti). Si prevede una procedura speciale che garantisce ai dipendenti trasferiti il mantenimento del trattamento economico in godimento. Ma potrebbe esser possibile, per esempio, utilizzare anche le regole previdenziali pre-Fornero per il pensionamento di personale che in questa o quella provincia ha maturato i vecchi requisiti in un contesto di riorganizzazione dell’amministrazione di appartenenza. Più complesso, stando alla lettera delle legge, usare invece la mobilità obbligatoria entro un raggio di 50 chilometri prevista dall’articolo 4 del decreto Madia (90/2014). Strumento, quest’ultimo, che ancora non è attivato con la costituzione del previsto Fondo per la gestione del 50% dell’indennità del personale in ricollocazione.

Insomma una partita delicatissima, che potrebbe richiedere nuove norme ad hoc, magari di coordinamento, da adottare insieme con la legge di Stabilità. E mantenendo comunque l’obiettivo del taglio sulle spese non obbligatorie che è pari al 51% dei budget attuali delle province. I tavoli tecnici e politici si alternano con continuità tra il dipartimento per gli Affari Regionali e le autonomie ( dove oggi è previsto un incontro con i vertici Upi), la Funzione pubblica e il ministero dell’Economia. Ultimo tassello fondamentale cui si dovrà raccordare questa procedura è il ddl delega di riforma della Pa, all’esame del Senato in prima lettura. In quel testo si prevede una riorganizzazione degli uffici territoriali della Pa centrale che, pure, incrocerà con la start up delle future province di secondo livello. Si vedrà.

Per fare il punto sui contenuti della delega Pa ieri a palazzo Chigi si sono riuniti il presidente del Consiglio Matteo Renzi, i ministri Marianna Madia e Maria Elena Boschi, il sottosegretario Graziano Delrio, Ernesto Carbone, Matteo Orfini, Lorenzo Guerini, Emanuele Fiano, Anna Finocchiaro, Giorgio Pagliari, Roberto Speranza e Doris Lo Moro. Sul testo, che ha concluso l’esame in commissione Affari costituzionali, sono stati presentati un migliaio di emendamenti e dalla settimana prossima potrebbero iniziare le votazioni.

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