No delle province alla loro riforma

La riforma delle province non piace alle dirette interessate. il disegno di legge che disciplina le modalità di elezione di secondo grado dei consigli provinciali e dei presidenti, approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri, ha raccolto in questi giorni una raffica di no dai presidenti. Ma anche da quei partiti politici, come l’Idv, che continuano a ritenere ogni riforma inutile rispetto alla “sola” riforma necessaria, cioè la soppressione degli enti intermedi. 

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Il nuovo “modello elettorale provinciale” previsto dal d.d.l. è di tipo proporzionale, fra liste concorrenti, senza la previsione di soglie di sbarramento e di premi di maggioranza.  Il nuovo modello elettorale prevede l’elezione contestuale del Consiglio provinciale e del suo presidente, con il ruolo di elettorato passivo per sindaci e consiglieri in carica al momento della presentazione delle liste e della proclamazione. Ogni candidatura alla carica di presidente della provincia sarà collegata a una lista di candidati al Consiglio provinciale e i votanti potranno esprimere fino a due preferenze. Viene quindi proclamato presidente della provincia il candidato che ottiene il maggior numero di voti e, in caso di parità, si prevede il ballottaggio. Le cariche di presidente e Consigliere provinciale sono compatibili con quelle di sindaco e consigliere comunale. È però vietato il cumulo degli emolumenti. Già quantificati i risparmi, che secondo il governo dovrebbero ammontare a 120 milioni di euro per lo Stato e a circa 199 per le province.

LE REAZIONI
‘‘Abbiamo provato a spiegare al Governo che questa nuova legge elettorale è un pasticcio – afferma il presidente dell’Upi Giuseppe Castiglione – e che a pagarne le conseguenze saranno i cittadini, privati della possibilità di scegliere chi eleggere per amministrare le comunità”. Ora, auspica, ‘‘spetta al Parlamento rimediare: si renda ai cittadini la possibilità di votare chi li amministra e si restituisca a un’Istituzione della Repubblica la dignità che detiene. E invece di tagliare la democrazia – ammonisce – si smetta con questa deriva demagogica e si cominci col tagliare i veri sprechi del Paese: dalle tante agenzie, alle società che oggi ci costano oltre 2,5 miliardi in Consigli di amministrazione, e che gestiscono la cosa pubblica senza alcun controllo”. Di tutt’altro parere Davide Zoggia, responsabile Pd Enti Locali, secondo cui “l’approvazione del ddl segna un passo importante lungo il cammino delle riforme per l’organizzazione dello Stato. La tempistica poi garantisce agli enti in scadenza di trovare soluzione a un possibile vuoto amministrativo. La scelta di definirle come organo di secondo livello va nella direzione auspicata: è evidente che contemporaneamente bisogna lavorare al dimagrimento e dove possibile all’eliminazione degli uffici periferici e intermedi della pubblica amministrazione”. E aggiunge che “in questo senso va bene anche il divieto di cumulo degli emolumenti per i doppi incarichi. Ora si tratta di lavorare in Parlamento sui contenuti del modello elettorale scelto: non è un mistero che come Pd preferiamo un sistema che contenga un premio di maggioranza o in subordine un meccanismo che garantisca la terzietà dell’eletto. Parallelamente – conclude – si tratta di far giungere a compimento anche l’iter della Carta delle Autonomie, sia per quanto riguarda le competenze che rimangono in capo alle nuove province e che nel dar vita alle aree metropolitane per rispondere in modo concreto alle nuove esigenze di cittadinanza”. “Con la riforma del governo rimangono le province, ma funzioneranno peggio. Si voleva a parole semplificare lo Stato, invece si toglie semplicemente ai cittadini il diritto di eleggere chi gestirà milioni e milioni di euro e lo si consegna a un meccanismo di elezione, o sarebbe meglio dire di nomina, di secondo livello, cioè a quanto di più oscuro produce la cattiva politica”, ribatte il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti.  “Sono anni – prosegue Zingaretti – che si parla di eliminare o limitare gli enti di secondo livello e non solo non si fa nulla, ma addirittura si teorizza che trasformando in questo modo le province esse funzioneranno meglio. Non si comprende come, a livelli di governo di questo tipo, si possano affidare competenze strategiche per lo sviluppo del territorio. Per cortesia evitiamo poi di parlare di risparmi: la spesa pubblica aumenterà e sicuramente diminuiranno e di molto la trasparenza e l’efficacia nel governo dei territori. La riforma dunque è davvero stravagante, come è incomprensibile l’ostinazione a non voler ascoltare le ragioni di chi in questi mesi ha proposto una vera riforma del sistema del governo locale. L’unica cosa certa – conclude Zingaretti – è che, tolto il potere ai cittadini di eleggere chi deve governarli, aumenterà di molto l’appetito di chi ora avrà il compito di nominare i nuovi organismi: le correnti dei partiti e le varie burocrazie dello Stato”. No anche dall’Idv, sia pure con motivazioni molto diverse rispetto a quelle dei presidenti degli enti. “La non riforma delle province conferma che abbiamo un governo a due velocità: rapidissimo quando si tratta di tagliare i diritti dei lavoratori e della povera gente, le pensioni, il potere d’acquisto delle famiglie ma scandalosamente lento quando si tratta invece di tagliare i costi della politica”, dice il presidente dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, che aggiunge: “Le province sono enti inutili e costosi che servono solo a distribuire qualche poltrona. Vanno abolite e invece il governo getta solo fumo negli occhi degli italiani limitandosi a un riassetto confuso che porterà risparmi minimi allo Stato e ne rimanderà a chissà quando l’eliminazione. Un altro pessimo segnale – conclude – un’altra occasione sprecata”.

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