Monti si fa in Tre e sembra Giulio

Fonte: Italia Oggi

In questi giorni di sicuro Giulio Tremonti sta bo-fonchiando: dicevano che io ero l’ostacolo alla frustata pro crescita; dice-vano che avessi la fissazio-ne del rigore e del pareggio di bilancio; dicevano che avevo la mania dei tagli alla spesa e mi accusavano lar-vatamente di essere pronto ad aumentare le tasse; eppu-re il governo Monti_ Saran-no pure pensieri reconditi quelli dell’ex ministro dell’Economia, eppure ra-gionando freddamente non sono pensieri del tutto para-dossali. Vediamo. La frusta-ta all’economia non doveva finalmente approvarla il premier Mario Monti che su Il Corriere della Sera per mesi l’ha invocata? Eppure tutti i principali commenta-tori dei quotidiani hanno notato: il decreto Monti?, troppo rigore e pochissimo sviluppo. I grandi numeri parlano chiaro, come ha cer-tificato venerdì scorso il governatore della Banca d’I-talia, Ignazio Visco: la ma-novra Monti è composta per due terzi da nuove entrate e per un terzo da tagli alle u-scite. Si poteva fare diver-samente? No, dicono al Te-soro, proprio come lo dice-vano anche durante il go-verno Berlusconi. D’altron-de il viceministro dell’Eco-nomia, Vittorio Grilli, ex Direttore generale del Teso-ro con Tremonti, ha detto senza perifrasi in un empito di verità: «Le cifre globali della manovra rispecchiano in toto le richieste della Commissione europea». Come dire: abbiamo pochis-simi margini di autonomia, Bruxelles detta legge. Prima lo lasciava intendere anche Tremonti, ma era accusato spesso di ottuso europeismo utile a un suo accreditamen-to internazionale. Ma per-ché solo rigore e poca cre-scita? La risposta sta in un altro mantra criticato in pas-sato dagli anti-tremontiani: la crescita non si può fare per decreto. La realtà è che, con un’economia europea asfittica e con i costi del de-bito pubblico in ascesa, la priorità resta sempre quella di mettere in sicurezza i conti pubblici: il rigore co-me premessa della futura crescita. Lo diceva Tremon-ti, lo dice con i fatti anche Monti. Il governo tecnico, in più, ha dovuto varare una manovra che avrà effetti re-cessivi da mezzo punto per-centuale di Pil, come ha ri-levato Bankitalia, come e-sempio di ritrovata credibi-lità europea e internaziona-le. Insomma, il duopolio Merkozy così ha dettato e noi, l’Italia, abbiamo esegui-to. Ma nessuno ha il diritto, come si lamentano gli eco-nomisti Francesco Giavazzi e Alberto Alesina su Il Cor-riere della Seradi ieri, di sorprendersi troppo per la direzione scelta dal premier. Infatti, scorrendo gli edito-riali scritti dall’ex presidente della Bocconi negli ultimi tre anni, si notano chiara-mente gli apprezzamenti di Monti per la politica di fi-nanza pubblica di Tremonti (apprezzamenti esplicitati anche in dichiarazioni a Bruxelles dell’attuale Premier), mentre le critiche sulla crescita erano indiriz-zate soprattutto al Cav. e allo scarso peso di ministeri come quello dello Sviluppo, ora affidato a Corrado Pas-sera. E proprio dagli edito-riali di Monti si rintraccia un concetto caro a Tremon-ti: la vera frustata all’eco-nomia europea non la può schioccare l’Italia, ma deve imprimerla soprattutto la Germania, la sola che con un aumento della domanda può trascinare l’economia dell’Europa, e dell’Italia. Come dire: politiche svilup-piste, per di più in deficit, non solo sono inutili, ma anche deleterie. Nessuno stupore, quindi, se l’anno prossimo il governo stima per l’Italia una riduzione del Pil dello 0,5%. Detto que-sto, è indubbio che qualche misura liberalizzatrice è presente nel decreto e che una radicale riforma struttu-rale come quella delle pen-sioni c’è. Su questi due a-spetti la flemma, tendente all’indifferenza, di Tremonti era chiara. Forse dovuta più a non incrinare il rapporto privilegiato con la Lega e in particolare con il leader del Carroccio, Umberto Bossi, contrario a liberalizzazioni estese e a riforme incisive sulla previdenza. Ma di cer-to non possono essere con-siderate rivoluzionarie e fo-riere di sicura riuscita nor-me come le agevolazioni per gli aumenti di capitale, gli sgravi Irap per l’assun-zione di donne e giovani. Se il fuoristrada europeo della crescita non riparte, non serve avere a disposizione più benzina. Ma è sul fisco montiano che si rintracciano anche le idee tremontiane. Da oltre un decennio l’ex ministro consiglia uno spo-stamento della tassazione dai redditi e dal lavoro ai consumi e alla proprietà. L’incremento dei tributi sui beni, la lievitazione degli estimi catastali del 60% e la reintroduzione dell’Ici, oltre al probabile aumento dell’I-va, segnano un’attuazione delle idee del tributarista di Sondrio. D’altronde in molti nel Pdl ricordano che l’abo-lizione dell’Ici sulla prima casa fu più una bandiera del Cav. che una trovata tre-montiana. E poi, chi ha cu-rato la parte fiscale del de-creto Monti? Sulla tassazio-ne della casa che frutterà 11 miliardi hanno avuto un pe-so le idee e i numeri di I-gnazio Visco, che anche prima di diventare governa-tore di Bankitalia era ascol-tato e stimato da Tremonti; la perizia tecnica di Vieri Ceriani sempre della Banca d’Italia, in passato consiglie-re economico dell’ex mini-stro Vincenzo Visco, e co-ordinatore del comitato che ha predisposto la mappa completa delle agevolazioni tributarie e assistenziali (ba-se per la delega tremontiana sulla quale proprio Ceriani è al lavoro); e l’esperienza ac-cademica e istituzionale di Piero Giarda, attuale mini-stro per i Rapporti con il Parlamento, che per conto di Tremonti ha presentato mesi fa al Tesoro un ponde-roso studio sul bilancio del-lo Stato che è di fatto un’a-genda di lavoro sui tagli prossimi venturi alla spesa pubblica. E le dichiarazioni di ieri del direttore dell’A-genzia delle entrate, Attilio Befera, vischiano quanto fino a poco tempo tremon-tiano, che elogia le innova-zioni del decreto Monti per il superamento del segreto bancario sul solco dell’opera di Tremonti, indicano quan-to la radicale discontinuità del governo rimarcata da molti in questi giorni dovrà essere riconsiderata in ma-niera meno enfatica.

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