L’ultima modifica sull’art. 18: reintegro se il motivo economico è «insussistente»

Fonte: Il Sole 24 Ore

Una riforma a 360 gradi del lavoro in 72 giorni. È quella che il Governo ha messo nero su bianco dal 23 gennaio, quando ha avviato il confronto con le parti sociali, a ieri, quando il testo del disegno di legge Fornero è giunto al Quirinale dopo l’ultima trattativa notturna con i partiti della maggioranza. I cui effetti si vedono in più punti dei 70 articoli che compongono il Ddl. Tra le novità delle ultime ore spiccano il ritorno del reintegro del lavoratore nei licenziamenti economici «insussistenti», la fissazione a 24 del numero di mensilità indennizzabili in caso di allontanamenti disciplinari, la riduzione al 30% per i prossimi tre anni delle stabilizzazioni per l’assunzione di nuovi apprendisti, l’applicazione della stretta sulle partite Iva solo a partire dal prossimo anno, la limitazione del giro di vite sui co.co.pro ai nuovi contratti. Insieme alla scoperta che i temi su cui serviranno i “tempi supplementari” della delega all’Esecutivo saranno quattro: politiche attive, tirocini formativi, apprendimento permanente – già inserite nel testo – e pubblico impiego (per cui sarà approvato un Ddl ad hoc).
Nonostante le ultime riscritture l’Esecutivo continua a individuare nell’articolato inviato al Colle uno strumento utile a ridurre le rigidità del sistema Italia e aumentare la sua produttività senza peraltro intaccare le tutele dei lavoratori. Anzi l’obiettivo esplicito del Governo è quello di aumentarle. Ad esempio attraverso i “paletti” imposti alla flessibilità in entrata che – sebbene attenuati rispetto agli annunci contenuti nel documento di policy varato dal Consiglio dei ministri di due settimane fa – continuano a non convincere le imprese.
Nella duplice ottica di trasformare il contratto a tempo indeterminato nella regola e fare dell’apprendistato la porta principale di accesso all’impiego il testo inserisce una serie di vincoli a quasi tutte le tipologie di rapporti flessibili. A partire dal tempo indeterminato che vede il tetto dei 36 mesi trasformarsi in inderogabile e la contribuzione da versare per ogni lavoratore aumentare dell’1,4 per cento. A fronte di questo appesantimento l’ultimo restyling ha consegnato alle aziende uno “sconto” sugli adempimenti riguardanti il primo contratto sotto forma della scomparsa del cosiddetto «causalone» in cui vanno inserire le ragioni dell’assunzione.
Buone notizie per gli imprenditori anche sul fronte dell’apprendistato visto che la quota di apprendisti da stabilizzare per inserirne di nuovi scende dal 50 al 30% nei prossimi tre anni. Più graduale rispetto alle previsioni sarà la stretta sulle false partite Iva, che troverà applicazione solo un anno dopo l’entrata in vigore della legge Fornero, e sulle collaborazioni a progetto, che vedono il giro di vite limitarsi ai nuovi co.co.pro.
Ma la novità di maggior peso il disegno di legge la riserva nella parte in cui rimodula l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Dopo il confronto serrato degli ultimi giorni tra governo, partiti e parti sociali, il testo uscito da Palazzo Chigi sembra aver assunto una forma che mette d’accordo tutti. Due le novità principali: da una parte, l’ampliamento dei casi in cui è previsto il reintegro del lavoratore licenziato (punto sul quale forte è stato lo scontro) e, dall’altra, la diminuzione a 12 e 24 mensilità dell’indennizzo minimo e massimo previsto nei casi in cui invece il giudice nega il rientro sul posto di lavoro. È evidente come le due misure vadano in direzioni diametralmente opposte: la prima amplia la tutela a vantaggio dei lavoratori, la seconda è invece la contropartita pagata alle aziende.
Al centro del dibattito era finito il licenziamento per motivi economici che, nelle intenzioni originarie, a differenza di quello per motivi disciplinari, non contemplava l’ipotesi del reintegro. Oggi, invece, il testo presentato a Napolitano accomuna le due ipotesi (licenziamento disciplinare e licenziamento economico) quantomeno nella parte relativa alla tutela per licenziamento illegittimo. Nel caso in cui accerti la «manifesta insussistenza» del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (economico), il giudice, oltre al risarcimento pari a 12 stipendi, «può» infatti disporre anche il reintegro. Resta salva la facoltà del lavoratore di optare per l’indennizzo.
Negli altri casi di annullamento del licenziamento economico per il datore di lavoro resta solo la condanna al pagamento dell’indennità tra 12 e 24 mensilità. È qui l’altra novità della giornata: infatti, la precedente bozza di modifica dell’articolo 18, nella parte in cui prevedeva l’indennizzo per il licenziamento annullato, anche quale alternativa al reintegro, lo fissava nella misura variabile tra 15 e 27 mensilità. Invariata, in sostanza, la disciplina del licenziamento discriminatorio. Qui il reintegro resta praticamente d’obbligo, salvo il caso il lavoratore non opti per l’indennizzo.
Chiude il cerchio degli interventi il cambio di registro sugli ammortizzatori sociali, a regime nel 2017. L’Aspi, assicurazione sociale per l’impiego, è destinata a sostituire le varie indennità di disoccupazione. Ne potranno usufruire anche apprendisti e artisti. Nel frattempo scatterà la fase transitoria per il passaggio della durata dagli 8 mesi attuali (12 per gli over 50) ai 12 dell’Aspi (18 per gli over 55). Il tetto massimo dell’Aspi è fissato a 1.119 euro. Resta il sistema della cassa integrazione, con limitazioni all’uso della «straordinaria» mentre per le aziende non coperte dalla Cig straordinaria arriva un fondo di solidarietà.
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CONTRATTI PREVALENTI

Tempo indeterminato

Aumento contributivo
azzerato per chi assume

Il contratto a tempo indeterminato viene potenziato “in via indiretta” dalla riforma del lavoro. L’articolo 3 del Ddl – che contiene le modifiche ai rapporti a tempo indeterminato (su cui si veda la scheda qui accanto) – lo fa inserendo all’articolo 1 del Dlgs 368/2011 il seguente comma 01: «Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». Sempre nell’ottica di rafforzare l’utilizzo del tempo indeterminato il teso che sarà all’esame delle Camere introduce (seppur gradualmente) un giro di vite giri su partite Iva, co.co.pro e associazione in partecipazione. Come anche l’appesantimento (di adempimenti burocratici). Ma soprattutto fissa un “tetto massimo” della successione dei contratti a tempo determinato in 36 mesi (superati i quali scatta la stabilizzazione). Arriva anche la conferma del “premio di stabilizzazione” per l’azienda che assume un lavoratore a tempo: potrà recuperare fino a un massimo di sei mesi dei contributi in più versati
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EFFICIENZA PER L’IMPRESA
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CONTRATTI PREVALENTI

Apprendistato

Stabilizzazioni obbligate,
quota al 30% per 36 mesi

I l canale tipico di ingresso nel mondo del lavoro. È così che il ministro Elsa Fornero ha definito ieri il contratto d’apprendistato, che diventa il «trampolino di lancio». Le nuove norme, accanto a un preciso impegno formativo da garantire al giovane, introducono per i primi 36 mesi un meccanismo che collega l’assunzione di nuovi apprendisti al fatto di averne stabilizzati una certa percentuale nell’ultimo triennio (e cioè il 30% che dal 37esimo mese successivo all’entrata in vigore delle nuove disposizioni salirà al 50%). Si prevede poi una durata minima di sei mesi del periodo formativo dell’apprendistato, ferma restando la possibilità di durate inferiori per attività di carattere stagionale. Un’altra modifica importante riguarda l’innalzamento del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati. Si passa dall’attuale 1/1 a 3/2. Vale a dire, la possibilità per l’impresa di assumere tre apprendisti ogni due lavoratori a tempo indeterminato.
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FLESSIBILITÀ IN ENTRATA

Tempo determinato

Via il «causalone»
nel primo contratto

Il contratto a tempo determinato viene disincentivato dal punto di vista delle regole giuridiche ed economiche. La durata massima dei contratti in successione è fissata in 36 mesi, comprensivi di proroga (viene eliminata l’eventuale deroga ai 36 mesi). Tra un contratto e l’altro deve esserci un intervallo di 60 o di 90 giorni (a seconda che abbia una durata inferiore o superiore ai 6 mesi). Finora l’intervallo era fissato in 10-20 giorni. Il singolo contratto può essere prolungato, in via straordinaria, per 30 o 50 giorni (per i contratti inferiori o superiori ai sei mesi). Il ricorso a questa tipologia di rapporti costerà di più alle imprese a causa dell’introduzione di un aumento contributivo dell’1,4% (con l’esclusione dei motivi sostitutivi e per attività stagionali). Aziende che, nella stipula del primo contratto di 6 mesi, non saranno più tenute a introdurre il cosiddetto «causalone»: l’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo, sostitutivo in un atto scritto contestuale o antecedente.
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Partite Iva

«Transitorio» di 12 mesi
prima della stretta

La partita Iva non deve essere la copertura di contratti di lavoro subordinato. A tal fine viene introdotta la presunzione del carattere coordinato continuativo e non autonomo e occasionale della collaborazione quando questa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco dell’anno e quando da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi. Al fine di allentare la morsa sulle imprese che ne sarebbe seguita il Governo ha deciso di limitare la stretta ai nuovi rapporti. Mentre per estenderla a quelli in corso bisognerà aspettare che siano trascorsi 12 mesi dall’entrata in vigore della legge. Della presunzione di subordinazione sarà in ogni caso possibile dare la prova contraria. Un’eccezione è prevista però per i professionisti. Il comma 4 dell’articolo 9 del Ddl prevede che la stretta non riguardi «le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali».
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Collaborazione a progetto

Sotto la lente l’oggetto
dei nuovi contratti

L’obiettivo anche in questo caso è evitare che il lavoro a progetto nasconda in realtà un contratto di lavoro subordinato. Stando all’articolo 8 del testo tutti i nuovi rapporti di co.co.pro dovranno essere «riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore». La stessa norma stabilisce che il progetto sia «funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente».
Al tempo stesso viene aumentata l’aliquota contributiva: nel 2013 gli iscritti alla gestione separata (senza altra copertura previdenziale) dovranno pagare il 28%; i pensionati o gli iscritti ad altra gestione sconteranno il 19 per cento. Tali percentuali saliranno progressivamente. Nel 2018 i co.co.pro non iscritti ad altra gestione pagheranno il 33%; i pensionati o chi ha un’altra copertura il 24 per cento.
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Part time

Più trasparenza
sulle clausole flessibili

Le imprese possono tirare un sospiro di sollievo. Il lavoro di manutenzione sui contratti a tempo parziale viene ridotto al minimo. Rispetto alle bozze messe a punto nei giorni scorsi la versione finale dell’articolato non obbliga più il datore di lavoro alla comunicazione amministrativa (anche con Sms) di tutte le variazioni di orario, da inviare contestualmente al preavviso per il lavoratore. Rimane invece il diritto del lavoratore a vedere inseriti nei Ccnl – a cui spetta il compito di “tipizzare” le clausole flessibili da inserire nei contratti – anche le «condizioni e modalità» che gli consentano di richiedere «la eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche» previste dal contratto di lavoro. Al tempo stesso viene introdotta la possibilità di ritirare il consenso all’esecuzione del contratto per i lavoratori studenti e per i lavoratori affetti da patologie oncologiche.
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Contratto di inserimento

Tipologia ammessa
solo per il 2012

Cambio di programma in corsa sul contratto inserimento. Anziché limitarsi a destinare ai lavoratori over 50 disoccupati da 12 mesi le risorse destinate a tali tipologie di rapporti – come annunciato nel documento di policy di due settimane fa – il Governo ha preferito decretarne di fatto la scomparsa. L’articolo 4 del Ddl stabilisce l’abrogazione degli articoli 54, 55, 56, 57, 58 e 59 del decreto legislativo 276/2003 con cui è stato attuata la “legge Biagi”. Con una clausola di salvaguardia per i contratti in corso e per quelli che verranno stipulati entro il 31 dicembre 2012: in questo caso gli articoli da 54 a 59 del Dlgs 276 continueranno infatti ad applicarsi.
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Lavoro intermittente

Obbligo di comunicare
ogni chiamata

L’appesantimento burocratico inizialmente previsto anche per il part time viene ristretto al solo lavoro intermittente. Per evitare che dietro tale fattispecie si nasconda un rapporto subordinato a carattere continuativo viene previsto l’obbligo di una comunicazione amministrativa – fax o posta elettronica certificata (è scomparso il riferimento agli sms, ndr) – in occasione di ogni chiamata del lavoratore. Il lavoro intermittente è destinato allo svolgimento di prestazioni discontinue, in base ad esigenze individuate dai contratti collettivi, per periodi predeterminati nella settimana, nel mese o dell’anno.
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Associati in partecipazione

Non più di 3 associati
per la stessa attività

Meno stringente del previsto il giro di vite sugli associati in partecipazione. Anziché limitarne l’utilizzazione alle associazioni tra familiari entro il primo grado o tra coniugi, come annunciava il documento di policy, il Ddl fissa un tetto di tre associati per lo svolgimento della medesima attività. E ciò indipendentemente dal numero degli associanti. Questo limite non si applica se gli associati sono «legati da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo». In caso di violazione di tali divieti, il rapporto con tutti gli associati si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Stessa sanzione per le situazioni dove c’è stato apporto di lavoro ma non la partecipazione agli utili.
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