La cedolare pareggia i conti se emerge il 60% del «nero»

Fonte: Il Sole 24 Ore

Poco più di 60mila abitanti, sparsi in 417 chilometri quadrati e in circa 41mila case. Benvenuti a Caltanissetta, la città senza inquilini: dichiarazioni dei redditi alla mano, nella città siciliana sono in affitto tre alloggi ogni mille, cioè trenta volte meno rispetto alla media nazionale. A fine mese, stando ai dati del fisco solo 121 famiglie devono fare i conti e trovare i soldi per pagare il canone. Ma dove sono gli altri 11mila alloggi della città che sono finiti in locazione secondo l’Istat? Tolta una piccola quota di appartamenti di proprietà degli enti pubblici, il resto scompare nel mare del nero che oscura il mercato italiano degli affitti. Quello nisseno è un caso limite, ma non è l’unico. Senza spostarsi troppo, a Enna e Agrigento si incontrano situazioni simili, con affitti “ufficiali” in meno del 3% degli alloggi mentre almeno una famiglia ogni 10 è in affitto secondo l’Istat, e spostandosi nel “continente” verso Vibo Valentia, Cosenza o Crotone il quadro cambia poco. In tutte queste città, la quota di affitti è abbondantemente sotto il limite del verosimile, mentre sale (troppo lentamente) in Campania, Molise e Lazio. Panorama opposto in città come Perugia, Pordenone o Imperia, dove l’evasione sembra molto limitata e non c’è lotta al nero che possa pareggiare la perdita di gettito che si incontrerebbe con l’introduzione della cedolare secca al 23% ipotizzata dal governo. Ma andiamo con ordine. Il mare del nero. Il gorgo dell’evasione immobiliare inghiotte in Italia almeno 500mila case, con un’incidenza che al Sud arriva al 34% mentre nel Centro-Nord oscilla fra il 4 e il 10 per cento. L’offensiva contro i proprietari immobiliari che si dimenticano dell’affitto quando compilano la dichiarazione dei redditi verrà rilanciata ora dal cantiere del federalismo fiscale, che nel programma tracciato dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli (nell’intervista sul Sole 24 Ore dell’11 luglio) si fonderà su due armi: la carota della cedolare secca, cioè l’aliquota unica da fissare al 23% per sostituire il prelievo attuale che cresce con la fascia di reddito del proprietario, e il bastone dei controlli, con un nuovo protagonismo municipale nella gestione di catasto e verifiche. Nessuna di queste proposte è un inedito, l’accoppiata di cedolare secca e lotta all’evasione è stata una compagna quasi abituale delle ultime manovre finanziarie, ma con l’attuazione del federalismo municipale da costruire entro il mese di luglio questa potrebbe essere la volta buona. Riuscirà l’impresa? Dipende. Le incertezze si concentrano sulle reali chance per l’anti-evasione, ma al netto di queste incognite due fattori sono già chiari: il cambio di rotta nella tassazione immobiliare è un affare per i proprietari, soprattutto quelli con redditi più sostenuti, e quindi più schiacciati dal fisco, e una scommessa per i comuni, soprattutto quelli dove è più raro che l’affitto arrivi in dichiarazione. Con una formula brutale, la riforma è destinata a piacere soprattutto ai proprietari del Nord e ai comuni del Sud. Il fisco con lo sconto. Com’è inevitabile quando una tassa piatta sostituisce un’imposta progressiva, la convenienza del cambio di regime è proporzionale al reddito del contribuente. I grafici in basso mostrano come questo principio si traduca in numeri: per chi ha un reddito fino a 28mila euro, e quindi un’aliquota marginale del 27%, la cedolare secca al 23% ipotizzata nei giorni scorsi dal governo si tradurrebbe in un risparmio fiscale di 340 euro l’anno per ogni 10mila euro di canone di affitto percepito. Se il reddito aumenta di 2,5 volte, e quindi supera i 75mila euro che spingono l’aliquota al livello massimo del 43%, il risparmio si moltiplica per 5, e arriva a 1.700 euro ogni 10mila euro di canone. Nulla invece cambierebbe per i redditi fino a 15mila euro, che già pagano un’Irpef del 23% uguale a quella ipotizzata per gli affitti del futuro, ma il caso è solo teorico: è quasi impossibile infatti rimanere nella fascia di reddito più bassa per chi ha concede una casa in locazione, e i censimenti sui redditi svolti ogni anno dal dipartimento delle Finanze lo confermano: il 90% di chi dichiara anche redditi da immobili si concentra nel secondo e terzo scaglione, gli altri occupano i piani più alti nella graduatoria delle entrate e l’aliquota media di queste tipologie di contribuenti si colloca al 30,4%: all’italiano-medio con una seconda casa data in affitto, di conseguenza, l’introduzione della cedolare offrirebbe uno sconto d’imposta di 629 euro l’anno ogni 10mila euro di canone percepito. Scommessa anti-evasione. Questa dieta fiscale si riflette ovviamente sul gettito: limando l’aliquota media dal 30,4 al 23%, cade un quarto dell’Irpef generata dal mattone, cioè circa 1,8 miliardi sui 7,5 calcolati da Economia e Territorio. Ma nella strategia dei fautori della cedolare il fisco leggero, meglio se unito a un cambio di passo nei controlli, farà emergere una fetta importante del nero che ogni anno fa sparire quasi un miliardo di Irpef (seconde case escluse). Proprio qui sta la scommessa per i comuni, che dal federalismo fiscale dovrebbero vedersi trasferita la fiscalità immobiliare che oggi finisce allo stato. La tabella a fianco mostra, per ognuno dei capoluoghi di cui sono disponibili i dati, il gettito Irpef attuale, quello che si otterrebbe dalla cedolare secca senza ampliare la platea dei contribuenti fedeli e la quota di evasione che dovrebbe emergere per pareggiare i conti. In media, nelle 83 città considerate, per evitare perdite di gettito i comuni dovrebbero riuscire a scovare il 56,5% degli evasori, ma la tabella mostra un dato chiave: il gioco del dare-avere “premia” i comuni dove l’evasione è molto alta, mentre nelle città in cui la fedeltà fiscale è la regola il pareggio diventa un obiettivo impossibile. Tornando a Caltanissetta, si scopre che per evitare che la cedolare si trasformi in una perdita di gettito sarebbe sufficiente far pagare le tasse all’1,3% dei locatori che oggi sfuggono all’erario. A Perugia, dove invece gli affitti dichiarati al fisco arrivano quasi a coincidere con quelli rilevati dall’Istat, l’evasione sembra giocare un ruolo marginale e anche un’emersione di tutti gli affitti in nero porterebbe poca energia aggiuntiva alle casse del comune. In questo caso, come in tutti quelli in cui la percentuale nell’ultima colonna supera il 100%, il mantenimento delle entrate annuali dopo l’introduzione della cedolare è destinato a rimanere un’impresa impossibile.

Così i calcoli

Gettito attuale
È l’Irpef generata attualmente dalle locazioni attive nel territorio del comune; oggi queste risorse finiscono nelle casse dello stato, ma dovrebbero essere trasferite ai comuni nell’ambito dell’imposta immobiliare federalista. La somma è stata calcolata in base agli affitti dichiarati dai residenti nel comune (e rilevati dall’agenzia del territorio), e agli importi medi di mercato registrati nel comune

Evasione stimata
Per stimare l’area di evasione si è proceduto così. Il numero delle famiglie in affitto (regolare o meno) è rilevato dall’Istat; da questa cifra sono stati sottratti gli affitti dichiarati (quindi regolari) censiti dal Territorio e quelli di edilizia residenziale o enti pubblici, calcolati in base alla media territoriale di unità immobiliari «popolari» e di enti pubblici. Escluse dal calcolo anche le abitazioni «a disposizione» (cioè le seconde case) e quelle «non riscontrate» dal Territorio

Gettito della cedolare
Viene calcolato applicando l’aliquota del 23%,ipotizzata dal governo, al numero di affitti regolari del comune. Dal confronto fra questa somma e l’Irpef attuale si giunge al «minor gettito senza emersione»

Possibili risultati antievasione
L’ultima colonna a destra indica la percentuale di affitti in nero che devono emergere per garantire nel comune con la cedolare un gettito pari a quello attualmente prodotto dall’Irpef «normale». La percentuale si basa sul confronto fra la diminuzione di gettito determinata dalla cedolare e la quota di evasione. Anche in questo caso, la base di calcolo per il gettito è rappresentata dai valori medi delle locazioni rilevati nel mercato del comune

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