Intervista del Messaggero al Minsitro Moavero: “Con i fondi strutturali Ue l’Italia potrà contare su 90 miliardi”

Oggi scade il termine accordato dal Ministro Fabrizio Saccomanni per la definizione da parte di tutti i ministeri degli impegni di spesa nell’ambito della legge di stabilità. Dopo di che entra nel vivo la discussione sulla definizione del quadro programmatico che porterà alla legge di stabilità. I tempi per la sua definizione sono particolarmente stretti, perché il progetto di legge dovrà essere inviato alla Commissione Ue e all’Eurogruppo non oltre il 15 ottobre per l’esame preventivo che l’Italia, insieme a tutti i paesi aderenti all’Unione, è tenuta ad affrontare nel rispetto del cosiddetto two pack. E ancora una volta, come accadde in occasione dell’uscita dalla procedura per eccesso di deficit, sarà il Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, il negoziatore che a Bruxelles dovrà spianare la strada affinché non siano vanificati gli obiettivi del governo italiano. Il Messaggero ha intervistato il Ministro.

Ministro Moavero Milanesi, qual è lo scopo di questo nuovo esame?
«L’esigenza di questo esame preventivo nasce dalla volontà di costruire un insieme di reciproche garanzie sulla tenuta dei rispettivi bilanci fra i Paesi UE. Un passo che si è reso necessario vista la facilità con la quale i problemi di uno si trasmettono agli altri e la difficoltà di gestire eventuali processi correttivi. Per quanti limiti possa avere, l’Europa è ormai una realtà economica molto integrata, una sorta di condominio teatro di scambi quotidiani ad ogni livello, dove la libera circolazione dei capitali, e dunque degli investimenti, può trasmettere alla velocità del suono problemi oltre che benefici».

Quindi il controllo delle politiche di bilancio è finalizzato a impedire che insorgano problemi esterni. Così facendo non c’è il rischio di condizionare un po’ troppo le scelte di sviluppo di un Paese, mortificandone le peculiarità?
«Non è questa l’intenzione. La vigilanza finalizzata e preventiva è finalizzata soprattutto a impedire che il bilancio di spesa di ciascun Paese non rispetti gli obiettivi dati, che si tratti di contenimento del deficit o di riduzione del debito. Non è previsto che si entri nel merito delle scelte dettagliate di spesa. Naturalmente oltre ai saldi numerici la verifica si estende alla compatibilità con il quadro delle riforme concordate da ciascun Paese in un processo europeo che, nel rispetto delle diverse realtà, ha lo scopo di rendere più armonica la costruzione comune».

Quali sono i passi successivi all’invio a Bruxelles del progetto di legge?
«La Commissione ha tempo fino al 30 no- vembre per formulare osservazioni ed eventualmente suggerire correzioni. E’ chiaro che più il quadro di spesa proposto si rileva coerente con gli impegni assunti più veloce sarà il via libera: il 30 novembre è una data limite per consentire che ciascun Parlamento nazionale possa completare l’approvazione della legge di Stabilità entro il 31 dicembre».

Non le sembrano pochi 31 giorni perché le due Camere possano approvare la più importante delle leggi nazionali?
«Ma il Parlamento italiano può cominciare subito a discutere i contenuti del disegno di legge. Non è necessario che attenda il via libera della Commissione e dell’Eurogruppo, l’altro organismo che do- vrà fornire un proprio parere».

E come verranno recepite le eventuali correzioni suggerite da Bruxelles?
«Penso possa avvenire attraverso emendamenti del governo, il quale naturalmente deve essere d’accordo con le modifiche proposte dalla Commissione. Ma a meno di inosservanze particolarmente gravi, tali da costringere Bruxelles a chiedere modifiche al progetto di legge, non credo insorgeranno difficoltà serie nell’eventuale processo di adattamento»

E in questo scenario la stabilità politica diventa indispensabile.
«Di più. E’ un parallelo indissociabile dalla legge di cui stiamo parlando. E’ la garanzia ultima di tenuta del bilancio. Per questo i partner europei guardano con preoccupazione alle attuali fibrillazioni politiche del nostro Paese».

E’ di questo che ha parlato al presidente Giorgio Napolitano nel recente incontro al Quirinale?
«Ho aggiornato il Capo dello Stato sugli umori prevalenti in Europa. Del resto, non solo l’Italia è tema di valutazione in questo momento. Anche la Germania, con l’imminente tornata elettorale, fa discutere».

A proposito di esami con l’Europa, di nuovo Francesco Giavazzi e Alberto Alesina hanno recriminato sulla decisione dell’Italia di privilegiare l’uscita dalla procedura per eccesso di deficit. I due economisti sostengono che sarebbe stato meglio imitare la Francia, prendendoci altri tre annidi tempo per rientrare entro il parametro del 3%. In tal modo, secondo loro, il processo di recupero della nostra economia sarebbe stato assai più facile.
«La situazione dell’Italia è assai diversa da quella della Francia o della Spagna. Ricordo che noi soffriamo di un debito pubblico ampiamente superiore a quello dei nostri vicini. Di conseguenza, la fiducia che noi chiediamo ai mercati sconta una negatività che ha bisogno di essere controbilanciata da comportamenti più rigorosi. Inoltre, l’Italia vantava un deficit già più contenuto rispetto a quello francese e bastava poco per tornare sotto il limite del 3%. Se avessimo percorso la strada inversa, probabilmente investitori e mercati non ci avrebbero capito e avremmo vanificato gli sforzi compiuti dai precedenti governo e soprattutto i sacrifici chiesti agli italiani. E poi, non è ora che l’Italia dimostri le sue capacità senza più farsi imporre programmi di sorveglianza o compiti a casa da chicchessia?»

Una settimana fa a Genova la Confindustria e i sindacati hanno siglato un patto che prevede un’azione comune sul governo allo scopo di accelerare la crescita. Hanno anche proposto alcuni provvedimenti mirati a razionalizzare la spesa finalizzando i tagli al sostegno del lavoro. Non pochi hanno però polemizzato sulla sostenibilità di quelle proposte. Ne terrà conto il governo?
«La convergenza tra le parti sociali è sempre un fatto importante. Sui temi proposti sarà il governo nella sua collegialità a valutarne la sostenibilità. Per parte mia, mi limito a osservare che se è vero che vi sono spese e forme di sussidio non più efficaci o giustificabili, è forse più grave la nostra incapacità a spendere bene o addirittura di spendere». Vuole dire incapacità di spendere denari che ci sono? «Precisamente. Penso ad esempio ai fondi strutturali europei. Siamo alla fine del ciclo 2007-2013 e, per quanto negli ultimi tempi siamo stati più attivi, ancora resta da spendere i160% circa dell’importo assegnato all’Italia, un intorno di 15-16 miliardi che possiamo utilizzare entro il 2015. Se a ciò aggiungiamo che questi 15-16 miliardi europei ne prevedono altrettanti provenienti dal bilancio nazionale, vuol dire che stiamo rinunciando a investimenti in infrastrutture per circa 30 miliardi. E non è finita qui».

Ministro, non si fermi. Vada avanti.
«Come ho detto, quanto ai fondi europei siamo alla fine del ciclo 2007-2013. Dunque fra meno di tre mesi inizia il nuovo che copre il periodo 2014-2020. Ebbene, secondo quanto già stabilito, l’Italia ha ottenuto finanziamenti per oltre 29 miliardi ai quali se ne devono aggiungere altrettanti provenienti dal bilancio nazionale. Insomma, nel giro di pochi mesi l’Italia potrebbe contare su risorse targate Europa per 85-90 miliardi da investire in grandi opere su un arco temporale di sette anni. E se consideriamo che il 2014 è l’anno in cui si prevede una più vigorosa ripresa dell’economia nonché il semestre di presidenza italiana della ue, davvero non si può dire che manchino le opportunità per avere fiducia e fare un buon lavoro. Bisogna solo crederci».

(Fonte: Dipartimento politiche comunitarie)

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