In attesa del testo… Problemi sulla legge di stabilità 2015

Il nodo delle Regioni, che al conto dei tagli aggiungono anche i mancati incassi che ci saranno a causa del taglio dell’Irap. Ma anche le polemiche sull’ultimo annuncio del premier, il nuovo bonus bebè. E poi la richiesta di Barroso di un aggiustamento strutturale dello 0,5% (l’Italia ha programmato solo lo 0,1%)… Si allarga ogni giorno il fronte dei mal di pancia sulla manovra targata Renzi-Padoan, mentre si prolunga l’attesa per conoscere il testo definitivo della legge di stabilità 2015. 
Il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri non è infatti arrivato al Quirinale e al momento il testo non è ancora all’esame del capo dello Stato. Secondo alcune indiscrezioni potrebbe arrivare oggi, per poi essere consegnato alle Camere e cominciare il suo iter parlamentare.

Il nodo Regioni

L’attenzione del governo è orientata anche a smussare il confronto interno. Certo le Regioni, dopo la levata di scudi, hanno abbassato i toni: “Non rifiutiamo i tagli ma stiamo lavorando perché siano compatibili” con il mantenimento dei servizi, getta acqua sul fuoco il presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino, sottolineando però che il dialogo va avanti sì, ma “a testa alta”. Se ci saranno le condizioni, insomma, “si troverà un accordo altrimenti ognuno dovrà assumersi le sue responsabilità”. Un incontro con il governo (chiesto da tutti gli enti locali) ancora non è stato fissato e potrebbe slittare alla prossima settimana (probabilmente lunedì 27), ma una prima occasione di confronto tra Chiamparino e Renzi ci potrebbe già essere in settimana, al Salone del Gusto di Torino. Intanto le diplomazie sono al lavoro per cercare di ricomporre lo strappo.
La proposta su cui le Regioni starebbero ragionando, potrebbe essere quella da un lato di rinunciare al promesso aumento di 2 miliardi del Fondo sanitario nazionale per il prossimo anno, e dall’altro di non procedere con veri e propri tagli ma di recuperare risorse rinunciando anche a trasferimenti attesi (a vario titolo) dall’amministrazione centrale e non ancora arrivati a destinazione. Soluzione che, si ragiona, comunque non coprirebbe tutti gli sforzi cui sono chiamati i governatori. Su di loro pesano infatti ancora i tagli dei passati governi (1 miliardo ‘ereditato’ dal Salva-Italia di Monti e 800 milioni di Letta) oltre alla sforbiciata da 750 milioni imposta con il decreto Irpef. Cui si aggiungeranno anche, è l’ultima stima elaborata, 450 milioni di mancato gettito per le casse regionali a causa del taglio dell’Irap (che riduce la base imponibile dell’imposta). Peraltro Chiamparino dovrà cercare una mediazione anche tra le posizioni dei governatori, in particolare i leghisti Zaia e Maroni, che insistono sulla necessità di non penalizzare le Regioni già virtuose (non sia “legge di stupidità” dice il governatore della Lombardia, “e spero che il governo non voglia la guerra…”).

Polemiche anche sul bonus mamme

I governatori leghisti criticano anche gli 80 euro alle neomamme (“l’avevo inventato io 10 anni fa allora tutti a dire uno scempio, oggi tutti ad applaudire Renzi” twitta sempre Maroni), che non piace nemmeno a Nichi Vendola (“solo propaganda televisiva”, Renzi “regala alle neomamme pannolini e biberon e noi siamo obbligati a tagliare gli asili nido per finanziarlo”). Secondo i conti della Cgil, con le stesse risorse in un triennio si potrebbero invece aprire 1000 asili per 60mila bebè, creando tra l’altro, 12mila nuovi posti di lavoro. Posizione che trova sponda anche all’interno del Pd, con Pippo Civati che ricorda come gli asili nido fossero un pallino dello stesso premier, che adesso propone invece “un messaggio sicuramente forte sotto il profilo del marketing elettorale spintissimo” ma “di un maschilismo certamente involontario (“per le mamme”, che così se ne stanno ancora un po’ a casa) e sbagliato”. La misura è difesa invece da Ncd, che l’ha fortemente voluta, come spiega il ministro Beatrice Lorenzin “a sostegno della famiglia e delle politiche della natalità”.

Legge di stabilità, scontro tra l’Ue e il governo

Muro contro muro tra Commissione europea e Governo sulla legge di stabilità: il presidente Josè Manuel Barroso avrebbe intenzione di chiedere all’Italia una correzione del deficit strutturale per il 2015 dello 0,5% contro lo 0,1% inserito dal governo nella legge di stabilità. Una posizione che, interpretando alla lettera le regole del Patto, non darebbe spazio a quel ‘pieno uso della flessibilità’ che invece il successore di Barroso, Jean Claude Juncker, si è impegnato ad applicare.
Ore cruciali anche per la Francia, che rischia più dell’Italia perché sotto procedura per deficit eccessivo. Entrambe potrebbero vedersi recapitare entro mercoledì una lettera con la richiesta di maggiori informazioni sulle loro leggi di bilancio che non rispettano le richieste di Bruxelles.
Mentre la Commissione ha avviato l’esame delle bozze di legge, e si avvia a dare un primo parere su quelle problematiche, la Francia prova a giocare d’anticipo cercando la sponda della Germania per evitare la bocciatura e ha inviato a Berlino i suoi ministri di economia e finanze per un mini-summit economico. Ma l’incontro si è risolto con un piano comune sugli investimenti da presentare a dicembre, e silenzio su tutto il resto, dalla flessibilità al giudizio Ue in arrivo.
La Commissione ha una settimana dalla consegna delle leggi di bilancio, arrivate il 15 ottobre, per chiedere chiarimenti ai governi con i conti più a rischio, mettendoli al corrente delle deviazioni rilevate. La richiesta deve quindi arrivare entro mercoledì. Bruxelles deve poi, entro il 30 ottobre, scrivere il giudizio completo con cui rimanda indietro la legge chiedendone modifiche.
Ma ancora non è chiaro se un’eventuale richiesta di maggiori informazioni e modifiche sarà resa pubblica oppure no. La Commissione potrebbe, con una scelta più ‘soft’, risolvere tutto attraverso canali più riservati, senza arrivare alla bocciatura delle leggi. “I contatti con i Governi sono costanti ma non è sempre appropriato farlo sapere”, ha detto il portavoce del Commissario agli affari economici Jyrki Katainen.
Per l’Italia, il dubbio di Bruxelles è sempre sul rinvio del pareggio di bilancio al 2017 e sulla riduzione del deficit strutturale. Con il commissario Katainen più morbido di Barroso perché si accontenterebbe dello 0,3%.
La rigida posizione del presidente uscente sarebbe conseguenza della sua ambizione di puntare alla Presidenza della Repubblica del Portogallo. Un Paese a cui la Troika ha imposto una cura lacrime e sangue e che ora non è disposto a vedere seguire una linea più morbida nei confronti di altri partner in difficoltà. Per la Francia invece i dubbi sono molteplici, perché preoccupano tutti i parametri, non solo lo sforamento del 3%. Tanto che la Banca centrale europea avrebbe acquistato obbligazioni garantite francesi a breve termine nell’ambito del programma lanciato da Draghi a giugno. Sarà quindi difficile che Parigi riesca ad influenzare Bruxelles con l’iniziativa annunciata a Berlino dai ministri Sapin e Schaeuble, cioè un piano per rafforzare gli investimenti, che sarà presentato entro l’inizio di dicembre. Del resto, anche Berlino resta sulle sue posizioni: tutti devono fare i compiti, e quindi il ministro Gabriel ha annunciato che saranno investiti altri 50 miliardi di euro perché la Germania ha mancato finora l’obiettivo del 20% di investimenti sul pil indicato dall’Ocse.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *