I ritardi italiani sono gravi soprattutto nell’adottare quei servizi che più richiedono un cambio di mentalità. Quelli per cui bisogna davvero fare entrare internet nella propria vita quotidiana: anche per le cose importanti e non solo nel tempo libero. È una chiave di lettura dei dati raccolti da Eurostat. Il punto di partenza è un male noto: solo la Grecia fa peggio di noi, tra i principali Paesi europei, per percentuale di nuclei familiari con accesso banda larga. Nel 2010 era il 49 per cento, in Italia. Persino il Portogallo ci ha superato. Consola un poco sapere che abbiamo guadagnato dieci punti dal 2009; ma anche Francia e Germania hanno fatto lo stesso balzo. Abbiamo quindi oltre dieci punti di distacco dalla media europea (EU15 ed EU27). Ma c’è di peggio. Il divario con la media cresce (a quasi 20 punti) per la percentuale di individui che accedono di frequente a internet (almeno una volta a settimana). Siamo al 48 per cento, un abisso di distanza dal Regno Unito (80 per cento), Francia e Germania (75 e 74 per cento). È il ritardo di chi tiene ancora chiusa a internet la porta della quotidianità. È il ritardo di una società che tarda ad assegnarle un ruolo principe. O forse persino un ruolo preciso. La vetta del problema si misura con i servizi e-government, usati nel 2010 dal 16 per cento degli italiani. Quasi la metà rispetto alla media tra i Paesi dell’Europa a 15 (31 per cento). Meno della metà rispetto al Regno Unito (33 per cento). Intorno al 30 per cento sono anche Francia, Spagna, Germania. A fare peggio di noi è la solita Grecia, in una classifica dominata dai Paesi scandinavi (che sono intorno al 50 per cento). L’Italia è in ritardo anche per l’offerta di servizi e-government. Nel 2009 (ultimo dato disponibile) erano online il 70 per cento dei servizi della PA (nessun aumento dal 2007), contro una media EU15 dell’80 per cento. Il Regno Unito tocca il 100 per cento. «I nostri ritardi sono figli di problemi profondi. Il 50 per cento degli italiani è analfabeta informatico. E tra coloro che non lo sono, molti comunque non hanno ancora fatto posto a internet fra le cose serie: quelle che riguardano i soldi, il lavoro, il rapporto con la pubblica amministrazione», commenta Maurizio Dècina, ordinario di reti e comunicazioni al Politecnico di Milano. «L’Italia ha speso oltre un miliardo di euro nel digitale terrestre. All’inizio pensava persino che questa tecnologia potesse dare servizi e-government tramite tivù». «Il risultato di tutto questo lo puoi leggere tra quei dati di Eurostat».
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