Federalismo fiscale incompiuto

Fonte: Italia Oggi

Nell’anno del 150° anniversario dell’Unità di Italia, il nostro paese è impegnato nell’attuazione di un’importante riforma istituzionale, la riforma federalista, che porterà a compimento quel processo complessivo di riassetto sussidiario dei poteri e delle funzioni dei vari livelli istituzionali di governo iniziato più di dieci anni fa. Legautonomie è convinta che tale completamento non possa essere rappresentato altro che dalla costruzione di una sede istituzionale di rappresentanza delle autonomie regionali e locali, la camera o senato delle regioni e delle autonomie locali per l’appunto, fondamentale per ridisegnare un nuovo patto fra i diversi livelli di governo, un nuovo fattore di allargamento delle basi sociali e una maggiore trasparenza ed efficienza dell’azione pubblica. Il superamento del bicameralismo perfetto e la configurazione di una seconda camera come espressione delle autonomie territoriali costituisce infatti il naturale completamento del disegno di riforma avviato nel 2001 e rappresenta un’esigenza oramai imprescindibile di sintesi e quindi di sistema, per dare rappresentanza agli interessi dei diversi livelli di governo territoriali e pertanto per garantire quella necessaria cooperazione istituzionale che dà sostanza ed efficienza alla trasformazione federalista della Repubblica. La transizione dunque verso un sistema federale, pur non segnata dalle vicende storiche e costituzionali di altri stati, diventerà via via ineludibile, sia per le esigenze di rappresentanza e di limitazione dei poteri, che sempre sono alla base delle costituzioni democratiche, sia per coerenza con la riforma del Titolo V, come elemento di chiusura della scelta federalistica. Quello della camera o senato delle autonomie è sicuramente un tema di lungo periodo: affrontato organicamente con la commissione D’Alema, seppur non in senso federalistico; con la bozza Calderoli e nella riforma costituzionale votata dal Parlamento e bocciata per via referendaria, e infine con la bozza Violante, che ha nel superamento del bicameralismo paritario il suo nucleo essenziale. La bozza Violante, che è stata accolta con evidente interesse da parte degli studiosi della materia, può rappresentare, ad oggi, una valida base di partenza in grado di ancorare concretamente il dibattito a un’ipotesi coerente e razionale di riforma del Titolo I della Costituzione. Ne va tuttavia verificato attentamente il consenso che è in grado di raccogliere tra le autonomie e le stesse forze politiche, poiché è ragionevole pensare che si tratta di diversi e legittimi punti di vista che vanno tenuti nel dovuto conto. Dal nostro punto di vista sarà importante cogliere, al momento del voto, il legame chiaro e inequivocabile tra la rappresentanza e il territorio di cui essa è espressione. Nel testo redatto da Violante è previsto un maggiore potere al presidente del consiglio (connessione fra risultati elettorali e incarico da parte del presidente della repubblica) e un vincolo più stretto fra il senato e le autonomie; il senato federale ha una legittimazione di secondo grado, con compiti meno politici e più legati alle grandi leggi di sistema o alle questioni attinenti il rapporto stato-enti locali. Legautonomie sostiene da sempre una riforma federalista che trovi nell’istituzione del senato delle regioni e delle autonomie locali, e dunque nel superamento del bicameralismo perfetto, il suo naturale sbocco e completamento: per questo nei prossimi mesi porteremo avanti una campagna importante, che parta dal basso e sappia parlare a tutti i cittadini. Insieme al federalismo fiscale è pertanto necessaria una riforma che, superando il bicameralismo perfetto, contempli la riduzione di deputati e senatori, dia un governo politico al nuovo assetto sussidiario dei poteri e funzioni dei vari livelli istituzionali di governo. La trasformazione del senato della repubblica in una vera e propria sede di rappresentanza delle regioni è uno dei passi fondamentali in un tipo di stato a forte decentramento come il nostro. In seguito alla riforma del Titolo V del 2001, al graduale assestamento delle competenze legislative regionali ? anche grazie all’intervento interpretativo massiccio della Corte ? e all’approvazione della legge delega sul cd. federalismo fiscale (legge n. 42 del 2009), è necessario che le decisioni vengano concordate in maniera stabile, democratica e permanente con i livelli di governo e non in maniera sporadica e poco trasparente come accade oggi. Infatti, il sistema delle conferenze, alle quali è oggi affidata la concertazione, anziché essere considerato un surrogato transitorio, sembra costituire, per il governo, la panacea per tutti i mali, una scorciatoia opaca e tutt’altro che soddisfacente dal punto di vista democratico. Anche il progetto di legge delega per l’istituzione della Conferenza della repubblica non sembra, per ora, superare queste criticità. Il senato delle autonomie dovrebbe quindi essere in grado di rappresentare un’esigenza di sintesi, e quindi in definitiva di sistema, degli interessi dei diversi livelli di governo territoriali, ed essere in grado di garantire quella necessaria cooperazione istituzionale che darebbe sostanza ed efficienza alla trasformazione federalista. Un bicameralismo perfettamente paritario come quello attuale rallenta solo il procedimento legislativo e non dà alcuna rappresentanza a quegli enti locali cui, al contrario, sono assegnate sempre maggiori competenze. Il superamento del bicameralismo perfetto e la configurazione di una seconda camera come espressione delle autonomie territoriali costituisce dunque non solo il naturale completamento del disegno di riforma avviato a partire dal Titolo V della Costituzione, ma anche un’esigenza diventata oramai imprescindibile. Il crescente contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale, infatti, è anche un esito del mancato completamento della trasformazione costituzionale e della mancata rappresentanza a livello nazionale delle istanze decentrate. Il senato delle autonomie dovrebbe essere caratterizzato da una specializzazione sui temi di interesse regionale. In particolare, dovrebbe avere un ruolo di co-decisione nelle materie a legislazione concorrente di cui all’art. 117, comma 3 Cost., in riferimento alla definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali, nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale, nonché un riferimento alle ulteriori forme di autonomia da attribuire ai sensi dell’art. 116 Cost. In questi casi, le materie di più diretto interesse per regioni ed enti locali dovrebbero avviare il loro iter legislativo al senato, le altre partirebbero invece dalla camera. In tutti e due i casi tuttavia l’ultima parola, la cd. prevalenza, dovrebbe spettare sempre alla camera politica alla quale viene riservato il potere fiduciario. L’obiettivo finale dell’introduzione di una camera delle autonomie è infatti la co-decisione, non la possibilità di blocco: eventualmente, ad esempio in caso di approvazione di leggi di principio nelle materie di competenza concorrente ex art. 117, comma 3 della Costituzione, potrebbero essere introdotte maggioranze rafforzate in caso di difformità. Un senato di rappresentanza delle regioni cui fosse assegnato il potere di vincolare le regioni stesse non avrebbe alcun senso e rischierebbe di tradursi in una roccaforte, in un veto potenziale istituzionalizzato che rischierebbe di paralizzare in maniera irrimediabile il circuito politico rappresentativo. In quest’ottica, la fiducia al governo dovrebbe essere concessa solo dalla camera, cioè dall’unica assemblea rappresentante della volontà generale a livello nazionale: si avrebbe una maggiore chiarezza nella individuazione delle responsabilità ed un possibile rafforzamento della governabilità. Se il senato fosse svincolato dalla fiducia e rafforzato nelle sue funzioni di garanzia, il suo potere di controllo sarebbe inoltre certamente maggiore. Al senato delle autonomie andrebbe tuttavia assegnata una competenza paritaria nelle leggi di sistema, come ad esempio quelle di revisione costituzionale o le leggi costituzionali, in modo da coinvolgere direttamente gli enti locali nelle scelte fondamentali del paese, in questo caso introducendo un potere di veto volto a tutelare ? a mo’ di contrappeso, di ulteriore garanzia ? la peculiare rilevanza delle materie da revisionare. Per il tramite della riforma del senato, si raggiungerebbe inoltre un altro obiettivo anche senza modificare le disposizioni costituzionali specificamente dedicate: la revisione della composizione della Corte costituzionale. Poiché il senato dovrebbe co-decidere con la camera i cinque giudici di estrazione parlamentare, certamente alcun di essi potrebbero essere considerati di estrazione locale e regionale. L’estrazione anche locale di parte dei giudici cui spetta il ruolo di redimere le controversie fra il centro e la periferia è infatti un tratto caratterizzante tutti gli ordinamenti federali contemporanei per cui si tratta di un tema certamente importante, al fine di garantire il massimo di imparzialità a quell’organo terzo e ultimo che è la Corte costituzionale.

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