Federalismo, comuni garantiti

In Stato-città il dpcm sul fondo di riequilibrio. Sul territorio il 10% dei tributi immobiliari

Italia Oggi
31 Maggio 2011
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Comuni in una botte di ferro sulla suddivisione del fondo di riequilibrio. Grazie a una clausola di salvaguardia che limiterà al massimo le eventuali perdite dovute al passaggio dai trasferimenti erariali al federalismo fiscale. L’obiettivo dell’Anci, che in vista del confronto di oggi in Conferenza stato-città sul dpcm di ripartizione ha inviato un pacchetto di proposte al governo, è chiaro: fare in modo che nessun municipio sopra i 5.000 abitanti possa perdere più dello 0,26% di quanto avuto l’anno scorso (ovviamente al netto dei tagli del dl 78). I mini-enti, poi, che hanno entrate piuttosto rigide non potendo contare su basi imponibili immobiliari di grandi entità, non ci rimetteranno nemmeno un euro col passaggio al federalismo. Anzi molti piccoli comuni prenderanno qualcosa in più rispetto all’anno scorso. È questo l’impegno di massima su cui sindaci e ministero dell’interno stanno trovando la quadra per garantire stabilità agli enti in vista della scadenza più importante che ormai è alle porte: l’approvazione entro il 30 giugno dei bilanci di previsione. Una dead line fondamentale che impone di limitare al massimo le sorprese. Almeno per quest’anno. «Era indispensabile individuare un parametro di correzione in modo da consentire ai sindaci di chiudere i bilanci sulla base di risorse certe, in attesa del parziale debutto dall’anno prossimo dei fabbisogni standard», spiega il segretario generale dell’Anci, Angelo Rughetti. E la sensazione è che il governo sia ben disposto ad accogliere le proposte di buon senso dei comuni. La nuova fiscalità municipale per il 2011, in attesa dei fabbisogni e del definitivo decollo dell’associazionismo comunale, poggerà su due pilastri che dovranno tra loro compenetrarsi in modo da non generare troppe sperequazioni sul territorio: compartecipazione Iva e fondo di riequilibrio, quest’ultimo alimentato dal 30% dei tributi immobiliari devoluti e da una fetta (21,6% nel 2011 e 21,7% nel 2012) della cedolare secca sugli affitti. Ma mentre per la semplicità del meccanismo individuato dalla legge (gettito Iva su base regionale suddiviso per numero di abitanti in modo che tutti i comuni della stessa regione abbiano un identico valore di Iva pro capite) la suddivisione territoriale dei 2,9 miliardi di euro di compartecipazione (il dpcm è atteso oggi in Conferenza Unificata) non crea particolari problemi di calcolo (si veda ItaliaOggi del 21/5/2011), la ripartizione del fondo di riequilibrio è molto più complessa. Perché deve tenere conto di molteplici variabili. La prima è data dall’obbligo di lasciare sul territorio (e quindi ai comuni dove sono ubicati gli immobili) una quota dei tributi devoluti. La seconda è che il 30% del fondo venga distribuito in base al numero di abitanti. La terza prevede criteri di ripartizione «forfettari e semplificati» per i piccoli comuni riservando in ogni caso una fetta del 20% ai mini-enti che hanno deciso di esercitare le funzioni in forma associata. Ma a causa della mancata emanazione del dpcm con le regole sull’associazionismo, questa riserva non si applicherà per quest’anno. Dalla lettera della legge (dlgs 23/2011) alla declinazione il più possibile perequata di questi parametri il passo non è affatto breve. E necessita di più di un correttivo. «In sede di prima applicazione del decreto abbiamo proposto che si eviti una territorializzazione del gettito dei tributi immobiliari troppo esasperata», osserva Rughetti. «I comuni hanno basi imponibili molto diverse (una cosa è il gettito potenziale per una metropoli come Milano o per un comune ad alta vocazione turistica e con molte seconde case, un’altra il possibile ricavato di un piccolo comune di montagna ndr) e per questo dopo un po’ di proiezioni siamo arrivati a elaborare e a proporre al governo una percentuale di entrate da far restare sul territorio che non risulti troppo sperequata». «Non è stato facile», prosegue, «perché da un lato avevamo la necessità di individuare un criterio di buon senso e dall’altro dovevamo comunque far partire il federalismo evitando di perpetuare i meccanismi di finanziamento tipici della spesa storica». Di ufficiale non c’è ancora nulla, perché sarà la Stato-città di oggi a decidere, ma l’impressione è che Anci e governo dovrebbero convergere su un valore intorno al 10%.

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