Età del ritiro legata all’invecchiamento medio

Fonte: Corriere della Sera

ROMA – Con la manovra approvata ieri al Senato e che ora passa alla Camera, dove non dovrebbe subire modifiche, arriva una nuova riforma delle pensioni. Che costringerà tutti a restare più a lungo al lavoro. Innanzitutto, dal 2011, non ci sarà più il sistema attuale delle «finestre» di pensionamento: quattro all’anno per le pensioni di vecchiaia e due per quelle di anzianità. Debutta invece il sistema della «finestra mobile», previsto dall’articolo 12 del decreto legge: i lavoratori dipendenti andranno in pensione trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei requisiti, quelli autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, parasubordinati) dopo 18 mesi. Non cambia nulla invece per il personale della scuola. Da questa misura il governo si attende risparmi per 360 milioni nel 2011, che diventeranno 2,6 miliardi nel 2012 e 3,5 miliardi nel 2013. Secondo la relazione tecnica, saranno interessati alla finestra mobile circa 6 mila dipendenti pubblici all’anno, che andranno in pensione con un ritardo medio di 12 mesi rispetto a ora, e 90 mila dipendenti privati e 50 mila autonomi con un ritardo medio di 3 mesi. Le nuove regole non si applicano ai lavoratori in mobilità sulla base di accordi sindacali stipulati prima del 30 aprile 2010 e a quelli che al 31 maggio 2010 sono titolari di prestazioni a carico dei fondi di solidarietà di settore (per esempio i bancari). Ma questa esenzione vale per le prime 10mila domande di pensione che arriveranno all’Inps. Un tetto assolutamente insufficiente, secondo i sindacati e la stessa Abi (associazione delle banche). Dal primo gennaio 2012 parte la nuova età per la pensione di vecchiaia delle donne che lavorano nel pubblico impiego: non sarà più a 61 anni ma a 65, come richiesto dalla commissione europea. Resta fermo il pensionamento a 61 anni per le dipendenti pubbliche che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011. Per i dipendenti pubblici (uomini e donne) che guadagnano di più è prevista anche una stretta sulla buonuscita: per importi tra i 90 mila e i 150 mila euro la liquidazione sarà erogata in due anni e sopra i 150 mila in tre. Dal 2015 scatta inoltre, per tutti i lavoratori, l’adeguamento dei requisiti di pensionamento all’aumento della speranza di vita, calcolato dall’Istat. Il decreto prevede un ritmo più serrato di quello stabilito dalla riforma del luglio 2009. L’adeguamento infatti non avverrà più ogni cinque anni, ma ogni tre anni, anche se per la prima volta si aspetteranno quattro anni e l’aumento dei requisiti non potrà superare i tre mesi. In sostanza, dal primo gennaio del 2015 scatterà un primo incremento del-l’età pensionabile di tre mesi. Il secondo scatto si avrà dal 2019 e da questa volta sarà corrispondente a quanto effettivamente misurato dall’Istat, il terzo dal 2022 e poi di nuovo uno ogni tre anni. Con questa cadenza, nel 2050 si dovrebbe andare in pensione 3,5 anni più tardi rispetto a ora: per la vecchiaia a 68 anni e mezzo. Il sistema si applica anche alle pensioni di anzianità e a quelle sociali. Non vale invece per chi raggiunge 40 anni di contributi.

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