Con l’articolo 8 della legge 183/2011 (legge di stabilità 2012) si modifica ulteriormente il 1 comma dell’art. 204 del Tuel, già recentemente modificato dalla legge 10/11 che converte il dl n. 225/2010. Nelle disposizioni previste nella legge di stabilità vengono definiti i nuovi limiti entro i quali è consentito, per i comuni con popolazione superiore a 5 mila abitanti e per le province, il ricorso all’indebitamento (mutui e altre forme di indebitamento). Con questa nuova disposizione i comuni e le province potranno stipulare nuovi mutui o ricorrere a nuovi finanziamenti solo nel caso in cui «l’importo annuale degli interessi sommato a quello dei mutui precedentemente contratti, a quello dei prestiti obbligazionari precedentemente emessi, a quello delle aperture di credito stipulate e a quello derivante dalle garanzie prestate ai sensi dell’art. 207, al netto di contributi statali e regionali in conto interessi, non supera il 12% per l’anno 2011, l’8% per l’anno 2012, il 6% per l’anno 2013 e il 4% a decorrere dal 2014 delle entrate relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo precedente quello in cui viene prevista l’assunzione dei mutui». È importante notare come, rispetto alla precedente versione dell’art. 204 (ante 2011) dove veniva imposto un limite di indebitamento del 15% valido per ogni anno, nella nuova versione si fissa un limite decrescente (e quindi più rigoroso) per il triennio di riferimento 2011/2013 e per gli anni successivi al 2014. A seguito di tale modifica in molti enti è sorto il dubbio se il rispetto delle percentuali fosse vincolante o meno per tutti gli anni a partire da quello in corso: nel caso cioè che un ente avesse un indice inferiore al 12% nel 2011 e in quello stesso anno volesse contrarre nuovi mutui pur già sapendo che per gli anni successivi non sarebbe stato in grado di rispettare i limiti rispettivamente dell’8 e del 6%, nel 2012 e nel 2013 sarebbe obbligato a rientrare sotto tale soglia gli anni successivi o l’unico limite derivante dal mancato rispetto della percentuale sarebbe il divieto di ricorrere a capitale di terzi? In effetti risulta pienamente legittimo optare per questa ultima soluzione ritenendo che «le percentuali di indebitamento» valgano per ogni singolo anno e pertanto l’ente, nel caso in cui voglia contrarre nuovi mutui debba calcolare l’indice di quell’anno e agire di conseguenza. Tuttavia, però tale soluzione a mio avviso non rispetta la ratio della legge. La normativa infatti fissando dei limiti non solo per l’anno in corso ma anche per i successivi, inquadra il problema in un’ottica di programmazione delle risorse da parte dell’ente e di una loro gestione pluriennale. La capacità di indebitamento dell’ente, infatti, rappresenta da un lato il ricorso al capitale di terzi, dall’altra implica la valutazione sulla possibilità di fare fronte alle rate di ammortamento comprensive di capitale e di interessi. Inoltre il carattere «autorizzatorio» e «programmatico» del bilancio pluriennale, implica la necessaria quantificazione delle spese e la relativa copertura non solo nell’esercizio corrente ma anche per quelli futuri. I continui interventi del legislatore atti a limitare l’indebitamento degli enti locali hanno infatti un duplice scopo: da una parte contribuire in maniera sostanziale al risanamento delle finanze pubbliche e dall’altro a evitare gli effetti negativi che l’eccessivo indebitamento ha sia sulla spesa corrente che sul patto di stabilità. È necessario, quindi, che gli impegni pluriennali quali le rate di ammortamento dei mutui vengano rimodulati di anno in anno al fine di determinare correttamente gli stanziamenti del bilancio pluriennale. Pertanto se pur dalla interpretazione letterale della norma sembra che per l’ente non esista nessun vincolo a modificare l’indice di indebitamento negli anni successivi se, a seguito della stipula di nuovi mutui gli indici di indebitamento non vengono rispettati, l’interpretazione più permissiva risulta illegittima e in contrasto con i principi ispiratori del bilancio. A ulteriore conferma della tesi alcune pronunce della Corte dei conti (vedi per es. delibera n. 640/2010/PRSE Corte dei conti Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo) e il continuo richiamo in un’apposita sezione del questionario che i revisori debbono periodicamente inviare alla Corte per la verifica dell’impatto dell’investimento programmato nel triennio di riferimento.
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