E se invece abolissimo le Regioni?

Fonte: Italia Oggi

Dove risparmiare? Enrico Letta e i suoi ministri sono quotidianamente alla ricerca di come raschiare il fondo del barile ma c’è un tabù: quello delle Regioni. Alle quali l’articolo 5 della Costituzione riconosce autonomia, impedendo, di fatto, al governo di intervenire. Così esiste una sorta di zona franca in cui l’unico intervento consentito allo Stato è limare in qualche modo i trasferimenti. Il fiume di soldi continua però ad affluire e, secondo la Corte dei Conti, solo per le spese di funzionamento degli organi istituzionali (consigli e giunte) le fauci regionali hanno inghiottito lo scorso anno 842,4 milioni. Il freno imposto da Giulio Tremonti e Mario Monti è riuscito a cavare qualche goccia dal mare: nel 2010 la spesa per il funzionamento degli organi istituzionali era stata di 397,6 milioni. In ogni caso lo scorso anno ogni italiano ha sborsato 15,1 euro che sono finiti direttamente alla Casta che siede nei consigli e nelle giunte regionali.Quanto rastrellano in indennità i consiglieri regionali? I più ricchi sono i laziali, che si sono intascati 24,1 milioni di soldi pubblici, a ruota vi sono i siciliani (22,3 milioni) ma anche i sardi non scherzano (20,2 milioni). Poi arrivano Lombardia (18,1), Puglia (15,7), Piemonte (14,1), Campania (12,7), Veneto (11,6) e così via. Vi è inoltre il capitolo del costo dei gruppi consiliari: a ogni gruppo politico le casse di ciascuna regione versano a vario titolo dei soldi, che nel recente scandalo scoppiato in Emilia-Romagna servivano anche a pagare le interviste alle tv private dei singoli consiglieri oppure in Lombardia erano utilizzati pure per comprare panettoni e regalìe varie. I dati del Lazio sono misteriosi, coperti da una sorta di segreto istituzionale: Nicola Zingaretti, (neo-presidente della Regione) se ci sei batti un colpo.

Il top spetta alla Sicilia, dove i gruppi si portano a casa 13,7 milioni, seguiti da Lombardia (12,2 milioni), Veneto (9,1 milioni), Piemonte (7,3), Emilia-Romagna (6,0), Liguria (5,7), Sardegna (5,1), Calabria (4,6), Campania (4,5), eccetera.A sorpresa la Corte dei Conti ha deciso, per il pregresso, che i consiglieri sono insindacabili nella loro attività e quindi niente sanzioni, a meno che non si approprino personalmente e in modo malevolo dei fondi. Una decisione che sta facendo discutere ma, allo stesso tempo, gioire tutti i consiglieri regionali d’Italia. Infatti per «l’oggettiva disomogeneità delle norme regionali – sostiene la Corte dei Conti – le nuove norme di controllo e le annesse sanzioni si applicano dall’esercizio 2013». Insomma, una specie di amnistia. Un frullato di miliardi. E dire che da mesi il governo è impantanato nella ricerca di 4 miliardi per potere cancellare l’Imu e il ministro Saccomanni è sui carboni ardenti pidiellini perché non riesce a cavare un ragno dal buco. Se poi dalle singole voci passiamo al quadro d’insieme ecco che le Regioni costano al contribuente 180 miliardi, una montagna di soldi dove si nasconde un’ulteriore, omertosa (dalla politica) contraddizione: un quarto di questa spesa avviene nelle Regioni a statuto speciale, nonostante in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna risieda solo il 15 % dell’italica popolazione.

Qualcuno ha mai alzato la mano per dire che, nella stagione dei sacrifici, bisogna por mano a questa falla di spesa?Se i valdostani dovessero pagarsi da soli i propri consiglieri spenderebbero 120 euro a testa, i sardi 44, i siciliani 33,2. E ci si riferisce solo alla spesa del funzionamento dei consigli regionali. Un’annotazione, non marginale: la Sicilia ha 90 consiglieri e la Sardegna ne ha 80 rispetto, mettiamo, ai 40 della Liguria. Ma non scherzano neppure Calabria (50), Puglia (70, Nichi Vendola dove sei?), Campania (61), Piemonte (60), Veneto (60), Friuli-Venezia Giulia (59). L’unica voce fuori dal coro tra i presidenti delle Regioni è quella del governatore della Campania, Stefano Caldoro: «È il momento di dare una svolta profonda e aprire una discussione seria sul futuro delle Regioni. I costi della democrazia vanno riequilibrati, bisogna incominciare a pensare che accorpare le Regioni, non solo per aree omogenee ma ragionando per competenze, significa semplificare e risparmiare».Alcune Regioni, a cominciare dalla Sicilia, potrebbero poi ovviare a minori finanziamenti centrali con una maggiore attenzione verso i fondi Ue, per esempio il ministro della Coesione territoriale, Carlo Trigilia, ha contabilizzato 352 milioni di euro che la Sicilia rischia di perdere entro l’anno per mancanza di progetti e ben 3 miliardi entro il 2015. La Cgia di Mestre, specializzata in ricerche politico-economiche, ha raffrontato le voci omogenee di funzionamento degli organi di governo locale: le Regioni assorbono 1,2 miliardi, i Comuni 1,7, le Province 455 milioni. In queste cifre non è compresa la spesa per il personale: 6,5 miliardi, ogni italiano sborsa 113 euro per pagare i dipendenti regionali che prosciugano le casse della Sicilia (1,7 miliardi) e del Trentino-Alto Adige (1,7 miliardi, quindi a pari merito), ma incalzano anche in Campania (411 milioni), Lazio (271 milioni), Valle d’Aosta (269), Puglia (225), Piemonte (214), Lombardia (197).

Teniamoci forte: siamo seduti su un vulcano di sole spese locali di 266,3 miliardi. C’è da stupirsi se dobbiamo sorbirci Imu, Tares, Iva e chi più ne ha più ne metta? Sì, 266,3 miliardi, poichè mettendo insieme tutte le spese ai 182 miliardi di uscite regionali (di cui 114 di spesa sanitaria) si aggiungono i 73,3 miliardi dei Comuni e gli 11 miliardi delle Province. Da parte sua, lo Stato costa ai cittadini 141 miliardi (più 311,7 miliardi di previdenza). Se sommiamo tutte queste cifre (anche la previdenza) risulta che ogni italiano sborsa ogni anno (al netto per interessi) 12 mila euro attraverso una pressione fiscale a livelli insopportabili. Ma per taluni economisti basterebbe un po’ di buona volontà: se si tagliasse del 18% la spesa di Stato, Regioni, Comuni e Province (ancora lì, immarcescibili) si otterrebbe un risparmio di 71 miliardi e si riuscirebbe così a coprire quasi l’intero costo degli interessi sul debito (85 miliardi).

 

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