Debiti, i Comuni superano lo Stato. Conti in rosso da Torino a Catania

ROMA – Si fa presto a dire debito pubblico. Perché nell’Italia dove gli enti locali aspirano a conquistare sempre maggiore autonomia, c’è debito e debito. Innanzitutto quello statale, che quest’anno raggiungerà il 118,4% del Prodotto interno lordo. Enorme: ricevuto in eredità certamente da decenni di finanza allegra, anche se chi l’ha ereditato ci ha poi messo del suo. Ma avreste mai detto che i Comuni sono ancora più indebitati dello Stato? Eppure, se sono veri i dati recentemente pubblicati dalla Corte dei conti, le cose stanno proprio così.
Secondo i magistrati contabili, nel 2008 i debiti municipali ammontavano a 62 miliardi di euro, senza però considerare il Campidoglio. L’esposizione del Comune di Roma era talmente elevata che il governo aveva deciso di separare la situazione pregressa dalla gestione ordinaria, con il risultato di assimilarlo agli «enti di nuova costituzione». Calcolando anche l’indebitamento della capitale l’ammontare dei debiti «propri» dei Comuni italiani avrebbero superato di slancio i 70 miliardi di euro, cioè il 120% delle entrate correnti, un dato che in qualche modo si può assimilare al «fatturato comunale». Si tratta di oltre 1.100 euro per ogni cittadino italiano.
Abbastanza per far sorgere seri dubbi sulla sua sostenibilità. Anche perché, sono sempre calcoli della magistratura contabile presieduta da Luigi Giampaolino, se si considera un Comune alla stessa stregua di un’impresa e si paragona il suo bilancio ai conti aziendali, si scopre che il costo di questo debito è ben superiore al risultato economico: è pari, esattamente, al 108% dell’avanzo delle amministrazioni, cioè degli «utili» al netto degli interessi. Questo significa che molti enti locali devono fare letteralmente i salti mortali per far fronte agli impegni finanziari. E non tutti ci riescono. Nel 2008 i Comuni che si sono trovati tecnicamente in disavanzo per questo motivo sono stati ben 220.
Nell’elenco degli enti che si sono trovati in una situazione di «squilibrio» più o meno pesante, anche nomi blasonati. C’è per esempio il Comune di Alessandria, 149 milioni di debiti. Come pure quello di Cesenatico. Poi Pistoia, Viareggio, Orvieto. Per non parlare di alcune città meridionali, come Caserta che con un indebitamento di 129 milioni ha archiviato il 2008 con uno squilibrio di bilancio di quasi 22 milioni di euro, o Foggia, che ha chiuso in passivo per 19 milioni avendo accumulato 128 milioni di debiti. E Aprilia, che se nel 2008 ha registrato un «disavanzo» di 7,7 milioni di euro, si trovava in una situazione di squilibrio ininterrottamente dal 2004. Non un record, certamente, se si considera che il Comune di Giarre, nella Provincia di Catania, era «squilibrato» senza soluzione di continuità addirittura dal 2001.
Questa situazione è senza dubbio la conseguenza della facoltà di ricorso al mercato da diversi anni ormai concessa agli enti locali i quali rivendicavano sempre maggiore autonomia finanziaria. Con la conseguenza negativa, in molti casi, di trovarsi imprevedibilmente ad aver fatto il passo più lungo della gamba: per ingenuità, faciloneria, o semplicemente perché i soldi servivano e lo Stato aveva tagliato le risorse. Esito frequente, quello di dover mettere una toppa talvolta peggiore del buco, magari ricorrendo ai famigerati derivati.
Tutto questo, però, con il rischio di andare incontro alla bancarotta soltanto a parole. Nel 2008 il governo è intervenuto per «salvare», questo fu il termine utilizzato nell’occasione, i Comuni di Roma e Catania. Il primo era stato guidato da un’amministrazione di centrosinistra fin dal 1993, sindaci due candidati premier ulivisti come Francesco Rutelli e Walter Veltroni e aveva accumulato debiti per oltre 8 miliardi di euro (che sarebbero stati successivamente certificati dalla giunta di centrodestra in quasi 10 miliardi) prevalentemente per ripianare i deficit delle aziende di trasporto locale. Il secondo era stato invece da lungo tempo amministrato dal centrodestra: sindaco il medico di fiducia di Silvio Berlusconi, Umberto Scapagnini. Il suo successore Raffaele Stancanelli, dello stesso partito, ha denunciato al suo arrivo una situazione letteralmente catastrofica, con un deficit spaventoso e un debito che veleggiava verso il miliardo di euro: 3 mila euro e oltre per ogni abitante. Scrisse una lettera drammatica a Berlusconi e venne accontentato con un provvedimento che stanziava 140 milioni di euro per la sua città: nella stessa legge era previsto anche un finanziamento di 500 milioni per Roma. Da sottolineare che non soltanto il Comune di Catania ha evitato la bancarotta, ma pure che l’ex sindaco Scapagnini, il quale aveva lasciato al suo compagno di partito Stancanelli una città in quelle condizioni, ha avuto in premio un seggio al Senato.
Situazioni limite, come del resto quella di Taranto. Ma che la dicono lunga sul rischio che possono correre anche le casse dello Stato a causa dei debiti comunali. Ma quali sono gli enti locali più esposti? Va da sé che ha poco senso il valore assoluto. Il debito va visto in rapporto agli abitanti: diversamente il Comune di Roma sarebbe di gran lunga in cima alla graduatoria. Invece, secondo la Fondazione Civicum, il Comune più indebitato in relazione al numero dei residenti sarebbe Torino. Nel 2008 ogni torinese avrebbe avuto sulle spalle una esposizione di 5.564 euro, con una lieve diminuzione rispetto ai 5.771 di un anno prima. Un livello giustificato dai grandi investimenti che la città ha dovuto sostenere per l’organizzazione di grandi eventi come le Olimpiadi invernali del 2006, ma che comunque lo stesso Comune ha rettificato, rigettando la tesi secondo cui sotto la Mole avrebbero più debiti rispetto a Roma e Milano. Secondo una analisi compiuta nel 2006, quindi prima che scoppiasse il «caso» dell’indebitamento della capitale, l’agenzia di rating Standard&Poor’s aveva analizzato i conti delle principali città italiane arrivando alla conclusione che Milano aveva un debito pro capite di 2.782 euro, superiore a quello di 2.426 euro dei romani. Secondo Civicum, che ha esaminato i dati del 2008 (con esclusione però di quelli di Roma) l’esposizione dei milanesi avrebbe raggiunto due anni dopo ben 4.012 euro. E il capoluogo lombardo sarebbe secondo soltanto a Torino, precedendo Potenza (2.774), Napoli (2.739), Genova (2.735) e Ancona (2.085): tutti Comuni attestati al di sopra della media. Fra le principali città italiane, quella più virtuosa risultava, per Civicum, Modena: appena 357 euro per abitante. Un terzo dei debiti che aveva il Comune immediatamente precedente, La Spezia (1.156 euro).

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