La legge sul rilancio dei piccoli comuni appena approvata dal Parlamento ha un pregio e un difetto. Il pregio è quello di aver individuato puntualmente il problema, nelle tante sue sfaccettature che vanno dalla banda larga che manca all’esigenza di favorire fenomeni come il turismo lento, le filiere corte dell’enogastronomia o gli alberghi diffusi. Fenomeni dalla fortuna crescente e spontanea, che però spesso devono farsi largo con fatica e fantasia fra regole pensate per città, industrie o grande distribuzione. Il difetto nasce invece dalla disattenzione politica che l’ha tenuta per 16 anni in cottura parlamentare, e che solo l’ostinazione di gente cocciuta come Ermete Realacci o Enrico Borghi (accompagnati nell’ultimo tratto di questa lunga storia anche dai Cinque Stelle con Patrizia Terzoni) ha saputo vincere. La freddezza della politica, però, ha lasciato tracce evidenti: nei pochi fondi (100 milioni in sette anni) che dovrebbero dare gambe ai tanti obiettivi della legge, e nel solito rimpallo di decreti attuativi (c’è da mettere d’accordo sei ministeri in sei mesi) che rischia di interrompere il viaggio già alla stazione di partenza…
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento