ROMA – Saranno i comitati per le celebrazioni degli uomini illustri, insieme con i piccoli istituti di cultura radicati nel territorio, a pagare il prezzo più alto dei tagli imposti dalla manovra finanziaria ai Beni culturali. Gli interventi disposti dal Collegio romano, sede del ministero, non prevedono la ventilata scure del 50% sui contributi a ciascun beneficiario. Ma un’operazione chirurgica tendente a fare economia salvando soprattutto le realtà di rilievo nazionale. Martedì il ministro Sandro Bondi illustrerà nel dettaglio i tagli per 13 milioni di euro ripartiti dal suo staff, mentre la manovra finanziaria del governo fa la spola dal Senato alla Camera in vista dell’approvazione entro fine mese. Nel forziere che il suo dicastero deve a malavoglia versare al ministro dell’Economia Tremonti, sono finiti praticamente tutti i 3,5 milioni e mezzo che servivano a sostenere le associazioni nate per ricordare la nascita di Cesare Pavese o quella di Mario Soldati. I comitati falcidiati sono circa una trentina e tutti, ad eccezione di quello nazionale per i 200 anni dalla nascita di Cavour, resteranno con i rubinetti a secco. Il tributo alla manovra d’estate si compone anche di risparmi e di prelievi effettuati sul già magro bilancio ministeriale: 4 milioni in tutto cui aggiungere i 9 di taglia. Qualcosa al gruzzolo di 13 milioni di tagli arriva anche dagli istituti di cultura più autorevoli e antichi – dall’Accademia fiorentina della Crusca alla Fondazione Cini, dall’Istituto Gramsci a quello intitolato a Luigi Sturzo – che spesso sono anche quelli che beneficiano degli aiuti più consistenti (sopra i 100mila euro l’anno) da parte dello Stato. I big dovranno tirare un po’ la cinghia – spiegano al Collegio romano – poiché i loro budget saranno leggermente limati. Ma scansano la mannaia. Che si abbatterà invece sulle istituzioni di carattere regionale. La maggior parte dei 9 milioni di tagli arriva insomma soprattutto su realtà concentrate sulle glorie locali: tremano istituti come quello di scienze sociali Nicolò Rezzara di Vicenza, che riceveva 25mila euro l’anno, o quello lombardo, accademia di scienze e lettere, di Milano, che faceva molto conto sui 60mila euro in arrivo da Roma. Istituti come quello di studi italo-tedeschi di Merano o il “tostiano” di Ortona è molto probabile che dovranno dall’anno prossimo rivolgersi agli enti locali per avere i 30mila euro che ricevevano ogni anno dalla capitale. Ma è difficile che troveranno ascolto dalle ragionerie di Comuni, Province e Regioni, infuriate per i tagli a loro volta ricevuti dal governo, come documentato dalle proteste registrate al convegno romano di Federculture di dieci giorni fa. Dai tagli integrali dei Beni culturali si sarebbero salvati tutti i 16 istituti che ricevono sopra i 100mila euro l’anno: come le Fondazioni Basso, Cini, Einaudi; ma mantengono l’aiuto anche l’Accademia dei Georgofili di Firenze o la Rossini di Pesaro che, nella lista dei 121 presenti nella “Tabella” triennale dei beneficiati dal Mibac, ricevono 40mila e 30mila euro l’anno. Completamente salvi dalla scure anche gli istituiti “ex lege”: 14 centri di cultura, dalla Triennale di Milano alla Quadriennale di Roma, alla Biennale di Venezia.
Cultura, salvi gli istituti storici scure su celebrazioni e enti regionali
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