Bollette dell’acqua senza imbrogli

l ministro per gli affari regionali fa il punto sul dopo referendum. Ma chiude alla proposta Pd

Italia Oggi
16 Giugno 2011
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Linea dura sui furbetti dell’acqua. Preso atto della volontà del 57% degli italiani che hanno cancellato la liberalizzazione dei servizi pubblici locali assieme al principio dell’ «adeguata remunerazione del capitale investito», il governo intende vederci chiaro. E chiama a un atto di coerenza i gestori che si sono schierati a favore dei quesiti referendari e che ciononostante continuino a inserire in bolletta quel 7% abrogato dalle urne. «Perché non sarebbe giusto continuare a far pagare ai cittadini ciò che i cittadini hanno abrogato con il loro voto». Una cosa è certa: «a pagare per gli investimenti non sarà lo stato». Il ministro per gli affari regionali, Raffaele Fitto, autore della riforma spazzata via dal referendum del 12 e 13 giugno, non ha rammarichi su quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto per salvare una legge giunta in porto dopo dieci anni di tentativi bipartisan sempre naufragati. «Era impossibile per il governo cercare di informare adeguatamente l’opinione pubblica sui reali contenuti della legge», dice a ItaliaOggi. «La materia è ostica e la strumentalizzazione messa in atto dai comitati promotori dei referendum ha prevalso grazie all’effetto traino della paura nucleare dopo l’incidente di Fukushima». Ma ora guarda avanti. Ai vuoti normativi apertisi e alla futura determinazione delle tariffe idriche. Il vero nodo, su cui dovrà giocare un ruolo fondamentale l’Agenzia sull’acqua prevista dal decreto sviluppo. Domanda. Ministro, avete già pensato a come intervenire per colmare i vuoti normativi creati dal ciclone referendario? Risposta. E’ ancora presto e dovremo approfondire il da farsi. Nel frattempo, ed è questo il mio vero cruccio, il settore dei servizi pubblici locali (la riforma Fitto-Ronchi si applicava a tutte le utility eccezion fatta per elettricità, gas, trasporto ferroviario e farmacie comunali ndr) tornerà ad essere regolato da norme di qualità scadente e principi di carattere generale. Un quadro desueto che noi avevamo superato con una legge moderna, aperta alla concorrenza, vantaggiosa per i cittadini e che ricalcava esattamente i tentativi di liberalizzazione per due volte portati avanti da Prodi e sempre falliti per colpa della sinistra radicale. Ma poi il Pd ha preferito salire sul carro dei referendari per ragioni di calcolo politico. D. Eppure, molti indicano nella proposta di legge Bersani-Franceschini (Ac 3865) presentata a novembre 2010 uno dei testi da cui ripartire per ridare al settore quelle regole cancellate dal referendum. Cosa ne pensa? R. Il Pd si metta l’animo in pace. Quella proposta di legge non passerà mai perché è contraria alla volontà elettorale emersa dal referendum. E’ un testo che apre le porte all’ingresso dei privati esattamente come il nostro. E le differenze, se ci sono, sono solo terminologiche (invece che di «remunerazione del capitale investito» si parla di «remunerazione dell’attività imprenditoriale»). A dimostrazione del fatto che Bersani ha piegato le proprie convinzioni a ragioni di mera tattica politica. Lo stesso Di Pietro si è accorto dell’incompatibilità di quel testo con l’esito referendario e lo ha detto chiaramente. E siccome ormai l’agenda politica del Pd la detta Di Pietro mi auguro che possa convincere Bersani che ormai si tratta di una proposta di legge improponibile. D. Dunque non ci sono gli spazi per riscrivere le regole del settore in modo bipartisan? R. Il Pd ha bisogno di guardarsi allo specchio e capire chi è. Ripeto, la posizione del partito di Bersani è sempre stata molto simile alla nostra. Non lo dico io, lo dicono gli atti parlamentari. Poi tutto è cambiato quando hanno deciso di cavalcare i referendum per dare una spallata a Berlusconi. D. Che fine farà l’Agenzia sull’acqua? La sua istituzione nel decreto sviluppo era funzionale all’attuazione della riforma. E ora? R. L’esigenza di un organismo di regolazione rimane. Per questo l’Authority non solo non va smantellata ma va rafforzata. Quella del decreto sviluppo è una buona norma, anche se personalmente avrei preferito, anziché istituire un nuovo soggetto, creare una sezione ad hoc all’interno dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Spetterà alla neonata Agenzia fissare le nuove tariffe che dovranno tenere conto degli esiti delle urne. D. I referendari chiedono che sia lo Stato a farsi carico degli investimenti infrastrutturali richiesti dal settore. R. Prima alzano le barricate sull’ingresso dei privati, gli unici in grado di garantire i 65 miliardi di investimenti richiesti dal settore, e poi vogliono che lo faccia lo Stato? Sembra di essere su «Scherzi a parte». Una cifra del genere non è attualmente reperibile nel bilancio pubblico, tanto più in un periodo di congiuntura economica. D. Farete marcia indietro sulla soppressione degli Ato che dovrebbe scattare dall’anno prossimo? R. Nessun dietro front. Gli Ato nascono per stabilire la dimensione ottimale nella gestione dell’acqua e dei rifiuti. Con la legge n.4 del /2010 ne abbiamo disposto la soppressione prevedendo che debbano essere le regioni a distribuirne le funzioni tra gli enti locali. Così dovrà essere. D. Teme che l’abolizione delle norme sulle incompatibilità delle cariche direttive, sul parere obbligatorio dell’Antitrust e sulle assunzioni di personale tramite concorso possano aprire la strada a una nuova gestione allegra da parte degli enti locali? R. E’ un timore fondato. Le società torneranno ad essere poltronifici dove sistemare ex dirigenti e politici rimasti senza cariche. In più con l’abolizione delle norme che prevedevano l’assoggettamento al patto di stabilità e l’obbligo di assunzione mediante concorso c’è un rischio concreto che gli enti possano usare le partecipate per eludere i vincoli in materia contabile e di personale. La politica tornerà a occupare le utility. Noi volevamo che facesse un passo indietro.

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