La service-tax è stata illustrata nella conferenza stampa del governo e nella nota ufficiale della presidenza del consiglio. Sono patetici i tentativi di esponenti politici e sindaci vari di strattonarla da una parte o dall’altra in funzione dei propri orientamenti ideologici, più che politici, o delle proprie convenienze o necessità. Siamo in presenza di una rivoluzione copernicana che il premier ha chiaramente delineato da Palazzo Chigi quando ha fatto presente che questo nuovo tributo non avrà più a riferimento la proprietà ma i servizi locali.
E’ quindi improprio pretendere che il tributo in questione (non a caso, come i tributaristi ben sanno, definito dal governo come una tassa) abbia un contenuto patrimoniale, così come è del tutto fuori luogo ragionare per categorie, al demagogico fine clientelare di proteggerne una piuttosto che un’altra: ogni cittadino corrisponderà il tributo in relazione al beneficio che ritrarrà dai servizi e proporzionalmente allo stesso pur nella quantificazione che ne faranno i comuni.
Piuttosto, sarebbe bene che ci si esercitasse in un utile dibattito, che è quello di come si possa far funzionare il federalismo competitivo al quale la service tax apre la strada e che in tutto il mondo caratterizza il vero federalismo, che non è certo quello per cui si definisce federalista ogni tributo il cui gettito finisca nelle casse degli enti locali o di cui questi ultimi stabiliscano solo elementi marginali, spesse volte dopo accordi di tipo cooperativo.
Al proposito, va seriamente considerata la possibilità di attribuire alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche anche il compito di vigilare sul nascente federalismo competitivo al fine di preservarne le caratteristiche e così che una riforma avversata da chi non vuole né confronti né concorrenza non venga soffocata sul nascere. Se questo fosse, la service-tax non potrebbe più aprire nuovi orizzonti, specie di equità oltre che di speranza».
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