Vale l’accordo collettivo

Fonte: Il Sole 24 Ore

Doppia novità sui licenziamenti: la giusta causa per allontanare il dipendente deve trovare riscontro nei contratti collettivi (o individuali, se certificati) e il ricorso del lavoratore al giudice deve essere fatto non più entro 5 anni, ma entro 270 giorni dall’impugnativa (che a sua volta deve essere presentata nei 60 giorni dal licenziamento). La giusta causa. Nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi: è questa la novità più rilevante del collegato. Una novità che fornisce ad aziende e professionisti maggiore certezza sulle cause che determinano l’interruzione del rapporto di lavoro. La norma è contenuta nell’articolo 30, comma 3 del collegato lavoro, in corso di pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale». Le causali che legittimano l’interruzione per giusta causa o per giustificato motivo possono essere individuate anche nei contratti individuali di lavoro a condizione che siano stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione. Queste due previsioni sono destinate a cambiare la gestione del rapporto di lavoro nelle aziende. Infatti tra i problemi che creavano incertezza c’erano proprio le causali che consentivano ai datori di lavoro di licenziare un dipendente. Le causali presenti nei contratti collettivi di per sé erano solo indicative per il datore di lavoro poiché di volta in volta egli doveva valutare se il comportamento del lavoratore aveva leso il vincolo fiduciario previsto dalla legge ovvero si erano creati i presupposti per un giustificato motivo soggettivo. La “finestra” di ipotesi in cui doveva operare il datore di lavoro era tuttavia troppo ampia e spesso si è verificato che anche un comportamento illecito assunto dal lavoratore e previsto dal contratto collettivo non era sufficiente, secondo il giudice, per legittimare il licenziamento. La norma del collegato lavoro fissa ora un principio di certezza secondo cui per comprendere se un licenziamento è valido o meno «il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi». Si tratta solo dei contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi con esclusione, quindi, di quei contratti che questo requisito non lo possiedono. Le ipotesi aggiuntive. Ma la norma va oltre: il datore di lavoro e il lavoratore, in sede di assunzione ma anche nel corso del rapporto, possono sottoscrivere una clausola al contratto di lavoro che prevede ipotesi aggiuntive che legittimano il recesso. L’unica condizione è che la clausola venga valutata e certificata dalla commissione di certificazione. Le commissioni di certificazione, dunque, assumono un ruolo sempre più rilevante nel rapporto di lavoro e nelle relative conseguenze. I termini per impugnare. L’articolo 32 prevede, inoltre, che il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Queste disposizioni si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *