Sui Comuni «virtuosi» parte la lotteria

Fonte: Il Sole 24 Ore

C’è una sola strada per i sindaci che vogliono dribblare il super-Patto di stabilità in serbo per il 2012, è mettersi a scrivere nelle prossime settimane un bilancio preventivo che piaccia ai cittadini, perché evita brutte sorprese fiscali, e alle imprese, perché fa dimenticare le attese infinite nei pagamenti. È la strada della “virtù” dei conti. Questo, almeno, è quel che prevede la manovra-bis di Ferragosto, che ha anticipato al 2012 la divisione degli enti locali (e delle Regioni) in quattro classi di virtuosità; a chi si troverà nel gruppo dei migliori, la manovra chiederà di raggiungere il “saldo zero”, pareggiando entrate e uscite calcolate secondo il metodo del Patto, e nulla più: niente obiettivi vertiginosi di bilancio (+186 milioni per Roma, +176 per Milano, +114 per Torino, solo per fare qualche esempio), niente impennata dell’addizionale Irpef, via libera alle risorse che servono a pagare le imprese e che fino a oggi ammuffiscono in cassa. Bellissimo, ma c’è (più di) un problema: quando si passa al pratico, il concetto nobile di “virtù” fatica a tradursi in numeri condivisi. Prima di tutto, molti degli indicatori pensati a luglio sono ancora futuribili, perché chiedono per esempio di misurare l’avvicinamento ai fabbisogni standard (che ancora non esistono), la spesa del personale in rapporto alle esternalizzazioni (non esiste un censimento), le operazioni di dismissione (ci vuol tempo) e i livelli di output del servizio. Per sciogliere il rebus, che ha contribuito a tenere lontane le nuove regole del Patto dal testo della legge di stabilità varata dal consiglio dei ministri e ora in discussione al Senato, l’idea del Governo è di concentrarsi sui pochi parametri già applicabili, dall’equilibrio di parte corrente all’autonomia finanziaria, dalla capacità di riscossione al tasso di copertura dei servizi, con l’aggiunta dell’impegno nella lotta all’evasione erariale che però per ora conta poco. Anche così, però, la soluzione non è semplice, perché come mostra l’elaborazione condotta dalla direzione scientifica dell’Ifel, l’istituto per la finanza e l’economia locale dell’Anci, basta cambiare di poco il mix degli indicatori per rivoluzionare le graduatorie e la base di dati, offerta dai consuntivi 2009, chiede qualche verifica sull’attendibilità. Brescia e Siena, per esempio, possono sperare che l’accento sia posto sull’autonomia finanziaria (data dal peso delle entrate proprie sul totale), Brindisi punta tutto sull’equilibrio di parte corrente, Reggio Emilia e Bergamo ripongono le proprie speranze sulla capacità di riscossione delle entrate e Belluno e Lodi sperano che sia preso in considerazione il tasso di copertura dei servizi. Anche dando a ogni parametro lo stesso peso, è il criterio di calcolo a decidere la sorte dei Comuni: la classifica finale va basata sulla media degli indicatori o delle posizioni in classifica? Un Comune di 6mila abitanti deve gareggiare con Roma e Milano o le graduatorie vanno distinte per dimensioni? Il Mezzogiorno, escluso quasi in toto dalle graduatorie costruite a livello nazionale, potrà sperare in analisi territoriali o dovrà rinunciare ai premi per la virtuosità? Quanti saranno gli enti considerati virtuosi? Come si vede, le domande sono pesanti, anche perché gli sconti a chi entra nella “prima classe” vengono pagati da tutti gli altri. Le risposte, secondo la manovra, toccano a un decreto dell’Economia, di concerto con Viminale e Affari regionali e d’intesa con la Conferenza unificata, senza passaggi parlamentari nonostante il peso politico delle decisioni. A meno che, anche per evitare di caricare un peso eccessivo sulle spalle degli altri, si decida di premiare solo un piccolo numero di enti, trasformando l’esordio della “rivoluzione dei virtuosi” in poco più di un’operazione d’immagine.

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