Semplificare non è la virtù delle Regioni

Fonte: Il Sole 24 Ore

Nelle regioni rosse del centro-nord la legge regionale per il piano casa scadrà a fine dicembre. Mestamente si avvia a esaurimento uno strumento che non è mai decollato e nessuno in Emilia Romagna, Toscana e Umbria ha finora posto la questione di una proroga o di un rinnovo. Dall’altra parte, se si fa eccezione per Giuseppe Scopelliti, che ha approvato di recente il disegno di legge (la Calabria era l’ultima regione a non averlo fatto), gli altri neogovernatori del centrodestra non si sono certo fatti in quattro per mettere il piano casa in cima alle liste delle priorità. Renata Polverini, per esempio, aveva lamentato i troppi vincoli posti dalla legge Marrazzo, ma per ora nulla ha fatto per rimuoverli. Anche per il leghista Cota la legge Bresso aveva bisogno di correzioni, ma le modifiche non sono ancora pronte. Vedremo se le iniziative allo studio si concretizzeranno nelle prossime settimane. L’inchiesta del Sole 24 Ore conferma che anche sotto il profilo dell’attuazione e delle domande presentate, il piano casa è stato finora un flop su tutto il territorio nazionale, con una parziale eccezione in Sardegna e Veneto, dove hanno pesato sicuramente le azioni di comunicazione e i road show degli assessori per far conoscere lo strumento. Grande delusione per gli ampliamenti, curva piatta per la demolizione e ricostruzione. Le ricerche più autorevoli (Cresme e Ance) hanno previsto che le domande sarebbero arrivate solo a ripresa del mercato edilizio avviata e che effetti si sarebbero prodotti solo dalla seconda metà del 2011. C’è da chiedersi, però, se i segnali così forti di disinteresse che arrivano dalla realtà non parlino invece di un fallimento definitivo. È il caso ora di chiedersi se la partita – che presenta scadenze diverse nelle regioni – sia finita qui o non sia giusto invece rilanciarla. Se il piano casa debba restare uno strumento svuotato o non si possa fare invece qualcosa per rilanciarlo, magari cambiandone direzione e finalità. Se non possa, in altre parole, essere reso utile nell’attuazione delle politiche edilizie e urbanistiche anche di quelle regioni e di quei comuni che lo hanno esplicitamente boicottato o implicitamente frenato. Una domanda che va posta, in prima battuta, proprio a quelle amministrazioni di centro-sinistra che hanno approvato con solerzia formale le leggi previste dal protocollo d’intesa con il governo, ma non hanno mai creduto veramente nell’idea berlusconiana. Il cruccio riguarda in particolare la demolizione e ricostruzione, il meno berlusconiano e il più “di sinistra” degli strumenti del piano casa. Il premio di cubatura del 35% per chi butta giù vecchi manufatti e li ritira su rispettando i vincoli urbanistici ed energetici è praticamente l’unico strumento attivo e vigente per una riqualificazione delle nostre città e delle nostre periferie su vasta scala e senza oneri per il bilancio pubblico. È davvero la scelta migliore archiviarlo senza che abbia mai funzionato? O non merita piuttosto di essere aggiustato, riformato, meglio incentivato, adeguato alla realtà, come chiedono Ance e Finco che ritengono il tetto del bonus troppo basso e propongono di portarlo al 50% per garantire il decollo della norma? Si può rispondere che è meglio aspettare strumenti migliori o la riforma della legge urbanistica. Posizioni legittime, ma poco realistiche. La legge urbanistica aspetta una riforma da mezzo secolo e tutti i tentativi sono falliti. Altri strumenti legislativi non si vedono all’orizzonte e sarebbero impraticabili con il fallimento del piano casa. Ogni regione è libera di regolarsi come vuole, ovviamente. Non sarebbe superflua, però, una riflessione comune regioni-governo per convergere su un progetto nazionale a tutto campo di riqualificazione del patrimonio edilizio. Magari mettendoci l’adeguamento antisismico incentivato e l’impatto energetico come obiettivi complementari da raggiungere.

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