Sblocco parziale dei fondi federalisti: al via solo 600 milioni su 8 miliardi

Il finanziamento federalista per Comuni e Province delle Regioni “ordinarie” avanza, ma a piccolissimi passi. Per cercare di spegnere la rivolta delle amministrazioni locali, alle prese con un buco di liquidità che a loro dire mette in forse anche i pagamenti degli stipendi, il Viminale ieri ha fatto ripartire il sistema che trasferisce agli enti le risorse chiamate a sostituire i vecchi trasferimenti erariali, cancellati dal federalismo.
Il meccanismo, però, è in due tempi, e i numeri in gioco chiariscono l’entità del problema: i trasferimenti «non fiscalizzati», cioè non trasformati in compartecipazioni o tributi devoluti dalla riforma federalista, possono prendere subito la strada verso le casse di Comuni e Province, per gli altri invece occorre aspettare che il ministero dell’Economia scriva i decreti per le assegnazione e metta le risorse in bilancio.
Il problema è nelle cifre: le risorse del primo capitolo, quelle che possono partire subito, valgono secondo le analisi della Copaff 610,6 milioni di euro, e per il 69,2% (422,4 milioni) hanno come unico destinatario il Comune di Roma.
Quelle del secondo capitolo valgono oltre 8 miliardi di euro, quelli che mancano all’appello dopo lo sblocco della prima “rata” dei vecchi trasferimenti a marzo, ma prima di arrivare a sindaci e presidenti devono essere stanziati dall’Economia nel bilancio dello Stato.
Il problema fondamentale è legato al calendario: gli ex assegni statali valgono circa un quinto delle entrate correnti dei Comuni (il resto viene da tributi e tariffe e, in misura minore, da contributi regionali) e nel vecchio sistema venivano assegnati in tre rate, a febbraio, maggio e ottobre (la scansione era prevista dal Dm del 21 febbraio 2002).
Un ritardo nell’erogazione di questi fondi, quindi, apre nelle casse degli enti un “buco” di cassa intorno ai tre miliardi di euro, e proprio per questa ragione il passaggio dai trasferimenti statali al nuovo quadro federalista era stato puntellato da norme transitorie: a metà febbraio la legge di conversione del «milleproroghe» aveva permesso di girare agli enti la prima rata secondo le vecchie regole, in attesa che i meccanismi federalisti potessero partire, e nelle prime versioni della manovra era spuntata una norma «salva-cassa» che avrebbe garantito il pagamento anche della seconda rata, ma che è saltata dai testi definitivi.
L’intervento del Viminale, quindi, offre una boccata d’ossigeno, ma solo a pochissimi Comuni: Roma, prima di tutto, che grazie alle regole speciali per la Capitale ottiene 422,3 milioni, e Molfetta, che riceve 20 milioni per i rimborsi dei lavori della diga. Tra i “fortunati” spunta anche Pozzuoli, che si vede arrivare 2,1 milioni annuali legati al personale della frazione di Monteruscello.
I Comuni con meno di 3mila abitanti, invece, riceveranno da questa partita 10.314 euro ciascuno per l’incremento del contributo ai mini-enti deciso con la Finanziaria 2010. Per tutti gli altri, invece, l’attesa continua, e il Viminale non può far altro che assicurare l’avvio dei pagamenti «appena sarà perfezionato il decreto del ministro dell’Economia e delle finanze che istituisce i nuovi capitoli di spesa e mette a disposizione le relative risorse finanziarie».

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