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Riforma del Senato approvata a Palazzo Madama. Ora la parola alla Camera

L’8 agosto scorso, mentre la Gazzetta degli Enti Locali era in ferie, la maggioranza del premier Matteo Renzi ha strappato al Senato il primo sì al d.d.l. 1429 sulla riforma dell’assemblea di Palazzo Madama e del Titolo V della Costituzione: i voti a favore sono stati 183, con quattro astenuti. L’opposizione, cioè Sel, la Lega Nord, Il Movimento 5 stelle e Gal, non ha partecipato al voto.
Ora il disegno di legge, firmato dal Ministro Maria Elena Boschi, per diventare legge dovrà prima passare alla Camera per altre tre letture (quattro in tutto) e poi di nuovo al Senato. Esiste anche la possibilità che sia sottoposto a un referendum popolare confermativo.

IL TESTO DEL DDL 1429 APPROVATO AL SENATO

Il premier Matteo Renzi su Twitter ha commentato così l’approvazione della riforma.

Una vera e propria rivoluzione per l’attuale assetto costituzionale, a partire dal tramonto del bicameralismo perfetto e dalla fine dell’elettività di primo grado dei senatori: il d.d.l. riforme cambierà ‘i connotati’ all’attuale Camera Alta e modifica radicalmente il Titolo V, eliminando, per esempio, la legislazione concorrente. Ma nei 40 articoli del testo Boschi sono presenti anche diverse norme che vanno nella ‘linea’ inaugurata dal premier Matteo Renzi: dalla fine delle indennità per i senatori alla norma anti-Batman, fino al tetto per gli stipendi per i consiglieri regionali.

Ecco i punti principali:

SENATO DEI 100. La fine del Senato elettivo è certamente la novità più dirompente del ddl e prevede la fine dell’elettività di primo grado. Il futuro Senato sarà composto da 95 membri rappresentativi delle istituzioni territoriali e cinque di nomina presidenziale. Saranno i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano a scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre ciascuna Regione eleggerà un senatore tra i sindaci dei rispettivi territori. La ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà “in proporzione alla loro popolazione” ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato dei senatori, che godranno dell’immunità come i colleghi deputati – coincide con quella che si ha nei ‘propri’ organi territoriali.

LE FUNZIONI. Tramonta la funzione legislativa esercitata collettivamente dalle due Camere prevista dall’art. 70 della Carta. La competenza legislativa ‘normale’ sarà quindi appannaggio della mera Camera dei deputati salvo alcune materie (come quelle etiche, introdotta con un emendamento approvato, con voto segreto, contro il parere del Governo). Sulla legge di bilancio, ad esempio la Camera potrà avere l’ultima parola decidendo, a maggioranza semplice, di non conformarsi ai rilievi posti dal futuro Senato. Che, tra l’altro, sarà anche escluso dal potere di concedere amnistia e indulto.

REFERENDUM. Punto tra i più delicati del testo, le firme necessarie per i referendum restano – a dispetto da quanto previsto dal ddl prima dell’approdo in Aula – 500mila, con il quorum del 50% più uno degli aventi diritto. In caso si arrivi a 800mila firme il quorum, invece, si abbassa alla maggioranza dei votanti dell’ultima tornata elettorale. Sono introdotti, infine, i referendum propositivi e d’indirizzo. Al testo tema ‘caldo’ era quello delle leggi di iniziativa popolare: il ddl uscito dalla Commissione prevedeva il ‘salto’ da 50mila a 250mila firme, con un ulteriore emendamento si è scesi a 150mila.

IL NUOVO TITOLO V. La scomparsa delle Province dalla Costituzione e della legislazione concorrente tra Stato e Regioni sono il cuore di questa parte del ddl, che, in generale dà più competenze allo Stato centrale permettendo anche il commissariamento di Regioni ed enti locali in caso di grave dissesto finanziario ma prevedendo la delega di ulteriori competenze alla alle Regioni a Statuto ordinario ‘virtuose’ in quanto a bilancio. Lo Stato, inoltre potrà esercitare una “clausola di supremazia” verso le Regioni a tutela dell’unità della Repubblica e dell’interesse nazionale 

LE ALTRE NORME. Saranno applicabili subito dopo l’entrata in vigore del ddl alcune norme chiave come la soppressione del Cnel, la previsione di un tetto agli stipendi di Presidente e consiglieri regionali – mai superiore a quello dei sindaci dei capoluogo di Regione – e la ‘norma anti-Batman’ che, sulla scia dei recenti scandali, blocca “rimborsi e trasferimenti monetari” pubblici ai gruppi politici regionali. IL NODO. La platea per l’elezione del capo dello Stato resta il nodo non sciolto. Il ddl mantiene il Parlamento in seduta comune, ma senza i 3 delegati regionali e cambia i quorum: dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei 3/5 dall’ottavo, la maggioranza assoluta. Ed è probabile che nell’esame alla Camera il punto sarà modificato.

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