Responsabilità contabili senza sanatorie

Fonte: Il Sole 24 Ore

Ridefinire solo l’ambito delle responsabilità dei dirigenti, per limitarle alla «attività gestionale», senza toccare il novero delle materie per i quali sindaci, presidenti di Provincia o Regione e assessori possono essere chiamati a rispondere davanti alla Corte dei conti. Sarà questo, secondo l’intenzione espressa da Governo e maggioranza, l’obiettivo dell’intervento che la riforma della Pa si appresta a compiere sul tema della responsabilità contabile. Governo e maggioranza hanno aperto a una modifica del testo che, nell’emendamento depositato la scorsa settimana, aveva suscitato l’allarme sulla possibile «sanatoria» sui processi contabili in corso (si veda Il Sole 24 Ore del 23 e 24 gennaio), perché soprattutto in Regioni ed enti locali i confini fra «scelta politica» e «attività gestionale» non sono netti e, sulla falsariga di quello che avviene in ambito penale, la riscrittura delle regole può avere effetti anche sul passato: i tecnici del Governo sottolineano che la tutela del favor rei è espressa solo nel penale, ma la prassi mostra che meccanismi analoghi si verificano anche nel processo contabile. 

Il primo appuntamento è allora quello con i “correttivi” agli emendamenti del relatore, il cui termine scade giovedì prossimo. L’apertura a modifiche è arrivata dallo stesso ministro della Funzione pubblica, Maria Anna Madia, secondo cui la riforma deve puntare a un «rafforzamento della dirigenza di ruolo, a cui vanno dati anche gli strumenti per dire di no alla politica, quando serve».

Se questo è il traguardo, la strada per raggiungerlo passa da una correzione del testo per chiarire che la responsabilità dei politici non viene toccata, e che l’intervento riguarda solo i dirigenti con lo scopo di chiamarli a rispondere esclusivamente della loro «attività gestionale». Anche così, però, non appare facile il compito dei decreti attuativi, per due ragioni.

La prima è legata al fatto che il giudizio in Corte dei conti scatta solo di fronte a «dolo» o «colpa grave», e non può mai sindacare «il merito delle scelte discrezionali» (è scritto tutto all’articolo 1, comma 1 della legge 20/1994, quella che regola l’azione dei magistrati contabili). In un quadro come questo, già oggi è difficile che il dirigente sia chiamato a rispondere di atti che traducono in pratica scelte politiche.

Ma l’aspetto più complicato, su cui le leggi si esercitano da anni con scarso successo, è l’individuazione del punto in cui finisce l’azione della politica e inizia quella della «gestione», perché solo quest’ultima è compito dei dirigenti. Per capirlo basta guardare ai contratti decentrati, un problema esplosivo negli enti locali al punto che l’anno scorso, con il decreto «salva-Roma», il Governo ne ha tentato una sanatoria per evitare l’obbligo per i dipendenti di restituire le indennità illegittime previste dai loro integrativi. In questi casi la delegazione che tratta con i sindacati è composta da membri della Giunta (l’assessore al personale in primis) e dirigenti, e le Corti dei conti regionali hanno spesso chiamato in causa questi ultimi. Il caso più eclatante è quello di Roma, ma da Vicenza a Firenze, da Siena a Reggio Calabria, episodi simili si sono ripetuti in tanti Comuni, piccoli e grandi, da Nord a Sud. Il problema è così diffuso che a dicembre era spuntata nel maxiemendamento governativo alla legge di stabilità una sanatoria generalizzata, poi esclusa dal testo definitivo della manovra. 

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