Redditi dirigenti: dubbi sulla legittimità della pubblicazione sul sito web dell’Amministrazione

Ebbe ampia risonanza qualche mese fa l’ordinanza cautelare del TAR Lazio (n. 1030 del 2 marzo 2017) che sospese l’obbligo di provvedere alla pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti di cui all’art. 14 comma 1, lett. c) ed f) del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 anche per i titolari di incarichi dirigenziali. In quell’occasione il Tribunale amministrativo del Lazio, occupandosi di un ricorso presentato da alcuni dirigenti del Garante per la protezione dei dati personali che si opponevano alla pubblicazione dei dati. Con quel provvedimento il TAR, nell’ambito della fase cautelare, aveva ritenuto sussistenti i presupposti per la concessione della sospensiva, valutando come “consistenti” le “questioni di costituzionalità e di compatibilità con le norme di diritto comunitario sollevate in ricorso” e “irreparabile” il “danno paventato dai ricorrenti, discendente dalla pubblicazione online, anche temporanea, dei dati per cui è causa”.

Redditi dirigenti e privacy: la nuova ordinanza del TAR Lazio

Ora, tramite ordinanza n. 9828 del 19 settembre 2017, il TAR Lazio, sez. I quater, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma ritenendo che “è rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1 bis e comma 1 ter, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, inseriti dall’art. 13, comma 1, lett. c), d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, nella parte in cui prevedono che le Pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all’art. 14, comma 1, lett. c) ed f) dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali, per contrasto con gli artt. 117, comma 1, 3, 2 e 13 Cost.”. Il TAR ha ritenuto, in altri termini, la questione non manifestamente infondata secondo il seguente iter motivazionale.

Obblighi di pubblicazione dei redditi dei dirigenti di Stato ed Enti locali

Ha premesso che i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza costituiscono il canone complessivo che governa l’equilibrio del rapporto tra esigenza, privata, di protezione dei dati personali, ed esigenza, pubblica, di trasparenza.
Ha inoltre ritenuto, quanto alla equiparazione dei dirigenti pubblici con i titolari di incarichi politici, originari destinatari della prescrizione di cui all’art. 14, comma 1, d.lgs. n. 33/2013, che i rapporti e le responsabilità che correlano, da un lato, i titolari di incarichi politici, dall’altro, i dirigenti pubblici, allo Stato e, indi, ai cittadini, si collocano su piani non comunicanti, in un insieme che rende del tutto implausibile la loro riconduzione, agli esclusivi fini della trasparenza, nell’ambito di un identico regime.
La differenza di status tra le considerate categorie per genesi, struttura, funzioni esercitate e poteri statali di riferimento è talmente marcata da non richiedere, per la sua illustrazione, molte parole.
Per spiegare le ragioni che rendono fondate le obiezioni, il TAR Lazio impiega oltre 60 pagine che richiamano i principi di base della Costituzione. L’articolo 3, prima di tutto, che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Questa uguaglianza  non si può però tradurre equiparando in modo ragionevole situazioni diverse fra loro. La legge ribalta tout court sui dirigenti gli obblighi di trasparenza previsti per i politici: un conto però sono ministri, presidenti e sindaci, che devono rendere conto di tutto ai cittadini che li hanno eletti, altro invece è il ruolo dei dirigenti, privati cittadini che svolgono un incarico, pubblico ma professionale. E anche tra i dirigenti ci sono ruoli e funzioni distanti fra loro, che non possono essere trattate allo stesso modo.

Le valutazioni del TAR Lazio e la rimessione alla Consulta

La comune soggezione dei titolari di incarichi politici e dei dirigenti a identici obblighi di pubblicità, stante la diversa durata temporale che, di norma, caratterizza lo svolgimento delle relative funzioni, sia particolarmente pervasiva per i secondi, esposti, ai sensi del comma 2 dell’art. 14 in esame, all’assoggettamento alla disciplina in contestazione per un periodo corrispondente all’intera durata del rapporto di lavoro, che si atteggia pertanto, nei loro confronti, diversamente che per i titolari di incarichi politici, alla stregua di una “condizione della vita”.
“Ha aggiunto, quanto alla legittimità della prescrizione imposta ai dirigenti di pubblicare i dati in contestazione, invece che, a tutela della proporzionalità della misura, una loro ragionata elaborazione, atta a scongiurare incontrovertibilmente la diffusione di dati sensibili o di dati, per un verso, superflui ai fini perseguiti dalla norma, per altro verso, suscettibili di interpretazioni distorte. La disposizione di cui trattasi comporta la divulgazione online di dati reddituali e patrimoniali relativi ai dirigenti, ai coniugi e ai parenti entro il secondo grado, ove essi acconsentano. È prevista anche, nel caso di mancato consenso del coniuge o del parente entro il secondo grado, la menzione dello stesso. I dati in parola, essendo desunti dalla dichiarazione dei redditi, si collocano a un livello di notevole dettaglio. Le caratteristiche di una siffatta pubblicazione la rendono indubbiamente foriera di usi da parte del pubblico che possono trasmodare dalla finalità della trasparenza, sino a giungere alla messa a rischio della sicurezza degli interessati”.
Il TAR ha in ultima istanza escluso che la disposizione cointestata sia suscettibile di essere disapplicata per contrasto con normative comunitarie, posto che non è individuabile una disciplina self-executing di tale matrice direttamente applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio. Sugli obblighi di pubblicazione dei redditi dei dirigenti di Stato ed Enti locali deciderà pertanto la Corte Costituzionale, perché le questioni di legittimità sollevate dai ricorsi sembrano ai giudici amministrativi tutt’altro che infondate.

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FORMAZIONE
La redazione degli atti amministrativi tra accessibilità totale e tutela della privacy
Cagliari, 26 ottobre 2017

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