Reati gravi? Niente appalti

Un codice etico per i pubblici dipendenti, che rischiano sanzioni fino al licenziamento in caso di mancato rispetto delle sue norme, il divieto di accedere ad appalti pubblici per soggetti condannati per reati di mafia, sequestro di persona, terrorismo e per i delitti contro la pubblica amministrazione, l’incompatibilità con le nomine in posizioni apicali nella pubblica amministrazione per i condannati per reati gravi anche solo in primo grado. Mentre i politici reduci da incarichi elettivi non potranno essere inseriti per un anno in incarichi di vertice dell’amministrazione di provenienza. Alla Camera il ddl anticorruzione è passato ieri, dopo la tripla fiducia del giorno precedente, con una delle votazioni più basse della stagione di Mario Monti: un provvedimento più volte rivendicato come “strategico” dal Governo nel cammino di risanamento del Paese, ha ottenuto solo 354 voti favorevoli. I magistrati non potranno svolgere incarichi di arbitrato. E più in generale, le pubbliche amministrazioni e le aziende pubbliche potranno inserire gli arbitrati nei contratti e nelle gare d’appalto solo con atto motivato dell’organismo politico responsabile o del rappresentante legale (per le aziende). Stretta anche sugli incarichi fuori ruolo dei magistrati: grazie all’emendamento voluto dal Pd Roberto Giachetti, verrà messo un freno alle “carriere parallele” delle toghe di ogni ordine. Non più di cinque anni consecutivi fuori ruolo, non più di dieci anni in tutta la carriera. E stop ai doppi stipendi: ogni magistrato assegnato a un’altra amministrazione si porterà dietro la sua busta paga. Le novità più significative e più contestate sono tutte all’articolo 13 del provvedimento, quello disegnato dall’emendamento del ministro Severino dopo lunghi mesi di trattative con i partiti pro-Monti. Punto chiave del ddl la ridefinizione della concussione, che garantendo l’impunità del “concusso” aveva raccolto qualche critica in sede internazionale: ora i reati sono due, la concussione vera e propria che continua a considerare vittima chi è costretto a pagare un politico o un pubblico ufficiale, ma solo se vi è “costrizione”. E la concussione per induzione, che punisce con una sanzione dai 3 agli 8 anni di carcere il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che inducono il privato a pagare. Punito con la reclusione fino a 3 anni anche il concusso che promette denaro o altra utilità. Cambia anche il reato di corruzione, diviso fra la corruzione per “atti contrari ai doveri d’ufficio” e quella che riguarda l’accettazione o la promessa di un’utilità indebita da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, a prescindere dall’adozione o dall’omissione di atti d’ufficio. Ma il reato che ha creato più malumori, almeno nel Pdl, è quello del tutto nuovo del traffico di influenze illecite, pensato in teoria per punire i reati delle cricche: c’è stato chi ha lamentato il rischio che i pm si occupino delle semplici raccomandazioni o del lobbismo legittimo delle categorie o delle imprese. Ma su questo il ministro Severino assicura di voler intervenire regolando una attività “lecita e legittima”. Si stabilisce in modo esplicito l’incompatibilità degli incarichi di vertice nella pubblica amministrazione per i condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per reati contro la p.a. non potranno assumere, almeno per un anno, incarichi dirigenziali nella stessa amministrazione dove sono stati eletti. Con l’articolo 5 del ddl corruzione si introduce la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti e “bastona” invece i bugiardi con il risarcimento danni e sanzioni che vanno fino al licenziamento. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, sia nel penale che per il civile, il pubblico dipendente che – questa la previsione – denuncia o riferisce condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla denuncia. Salvi gli obblighi di denuncia previsti dalla legge, l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, fino alla contestazione dell’addebito disciplinare. La Camera ha anche dato disco verde alla proposta delle commissioni che prevede che il divieto per tutti i dipendenti pubblici di chiedere o accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l’espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d’uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia. E ancora il governo definirà un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo della cura dell’interesse pubblico”. Il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, è pubblicato sulla gazzetta ufficiale e consegnato al dipendente che lo sottoscrive all’atto dell’assunzione. La violazione dei doveri contenuti nel codice è fonte di responsabilità disciplinare. La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogni qual volta le stesse responsabilità siano collegate a violazioni di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. In caso di inerzia il codice è adottato dall’organo di autogoverno. Sulla applicazione dei codici vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici di disciplina.

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