Pubblicato il decreto correttivo del Codice del processo amministrativo

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre il d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195, correttivo del Codice del processo amministrativo, che prevede, tra l’altro, un inasprimento delle spese legali per chi intenti una lite temeraria. Secondo le nuove disposizioni, infatti, chi intenta una causa la cui decisione è «fondata su ragioni manifeste od orientamenti giurisprudenziali consolidati» è condannato d’ufficio dal giudice al pagamento di una sanzione di importo non inferiore al doppio del contributo unificato e non superiore nel massimo al quintuplo.
La nuova disposizione è destinata a sostituire l’attuale previsione di cui al comma 2 dell’art. 26 del D.Lgs. 104/2010 secondo cui «il giudice, nel pronunciare sulle spese, può altresì condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento in favore dell’altra parte di una somma di denaro equitativamente determinata, quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati».
La riscrittura dell’art. 26 del Codice lascia intatta la definizione di «lite temeraria», ribadendo la condanna solo in presenza di ben individuate circostanze costituite dalla presenza di «ragioni manifeste» o «orientamenti giurisprudenziali consolidati». Da un lato, pertanto, si garantisce un’ampia discrezionalità al giudice, il quale gode di ampi margini di valutazione per stabilire se una ragione sia «manifesta» o meno; dall’altro, con riferimento all’altro presupposto, si riduce detto margine di discrezionalità, ritenendosi per lo più che il «consolidamento» del precedente giudiziario debba realizzarsi a livello di Consiglio di Stato.
Ciò che in particolare rileva della nuova disposizione è l’obbligatorietà dell’irrogazione della sanzione da parte del giudice: la nuova versione della norma stabilisce infatti che «il giudice condanna d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria», mentre l’attuale versione rimette alla mera facoltà del giudice la possibilità di irrogare la sanzione medesima.
Ulteriore, rilevante, novità attiene al criterio per la determinazione dell’importo della sanzione, passandosi dalla valutazione equitativa del giudice a una misura predeterminata dalla legge con un minimo e un massimo. In luogo dell’equità, intesa nel tradizionale significato di criterio di valutazione giudiziario correttivo o integrativo, teso al contemperamento dei contrapposti interessi del caso rilevanti secondo la coscienza sociale, il legislatore ha optato di ancorare la liquidazione della somma a criteri predeterminati in funzione di una logica di deterrenza sanzionatoria del proliferare dei processi.
Ancora, con la nuova formulazione della norma, il gettito derivante dal pagamento della sanzione è devoluto all’erario (art. 15 disp. att. c.p.a.), e non più alla parte vittoriosa. Anche in questa direzione si coglie, pertanto, l’intento del legislatore di conferire alla norma uno scopo immediato che non è più quello di approntare una soddisfazione in denaro alla parte risultata vincitrice in un processo civile, bensì quello di arginare il proliferare di «cause superflue» che appesantiscono oggettivamente gli uffici giudiziari ostacolando la realizzazione del «giusto processo» attraverso il rispetto del valore (costituzionale ed internazionale) della ragionevole durata del processo.

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