Parte il Ddl costituzionale per abolire tutte le Province

Fonte: Il Sole 24Ore

Per le Province potrebbe finalmente scattare il conto alla rovescia: domani il Consiglio dei ministri varerà infatti il ddl costituzionale che cancellerà questo livello intermedio di amministrazione per trasferirne tutte le competenze alle Regioni. Dalla riunione del governo uscirà inoltre una delle misure chieste dall’Europa all’Italia a metà agosto, vale a dire l’introduzione nella Costituzione del pareggio di bilancio. Per le Province è l’ennesimo capitolo di una storia alla quale non è stata ancora messa la parola fine. Ultimo episodio in ordine di tempo la norma contenuta nella manovra di Ferragosto nella quale si prevedeva la soppressione di quelle con meno di 300mila abitanti o la cui superficie complessiva risulti inferiore a 3mila chilometri quadrati. Un intervento che aveva fatto discutere perché sarebbe dovuto scattare solo dopo il censimento del prossimo autunno e che comunque avrebbe comportato solo una sforbiciata non la cancellazione: dalle 107 Province attuali si sarebbe scesi a 78. Il secondo criterio, tra l’altro, sarebbe stato introdotto per sottrarre alla «scure» alcune province leghiste. Ma le sorprese non erano finite. Al vertice di Arcore di fine agosto l’argomento viene affrontato di nuovo e risolto, certo un po’ a sorpresa, in modo radicale: via tutte le Province. A occuparsene il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, che ha studiato il “ritocco” degli articoli 114 e 117 della Carta: dal primo scompare il riferimento alle «Province» tra i vari livelli istituzionali, nel secondo si specifica che le Regioni avranno competenza esclusiva sulla futura riorganizzazione delle funzioni, con il vincolo di ridurre delle spese rispetto a oggi. L’intervento potrebbe anche assumere la forma di una modifica a un Ddl costituzionale già esistente, quello legato alla manovra bis di luglio che riduce a 500 il numero dei parlamentari e che naturalmente dovrà seguire l’iter “aggravato” previsto dall’articolo 138 della Carta: doppia deliberazione di ciascuna Camera con intervalli non inferiori a tre mesi. Tempi piuttosto lunghi, quindi. Se il Governo approverà le modifiche domani, dovrà inviarle al Quirinale per poi trasmetterle alle Camere. Solo in quel momento comincerà il percorso parlamentare: il testo arriverà in Parlamento (Camera o Senato): qui verrà assegnato alla commissione competente – Affari costituzionali – che lo dovrà esaminare e approvare per inviarlo all’Aula. Per il primo sì occorrono almeno 15 giorni; altrettanti ne serviranno per il via libera dell’altro ramo. Poi c’è lo stop obbligato di 90 giorni, scaduto il quale si passa al nuovo “giro”. In totale almeno 130 giorni, sempre che durante l’iter qualche forza politica non si metta di traverso. Solo un sì con la maggioranza dei due terzi, inoltre, elimina il rischio referendum confermativo. L’altra modifica è un intervento annunciato dal Governo all’inizio di agosto inserire nella nostra Costituzione (con la revisione dell’articolo 81) la regola del pareggio di bilancio. Una misura sulla quale, rivolgendosi in Parlamento alle opposizioni, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva auspicato il «disarmo plurilaterale».

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