Part time, mani legate alle p.a.

La revoca unilaterale del part time è in contrasto con la direttiva europea 97/81/CE: lo stabilisce una sentenza del 4 maggio scorso del Tribunale di Trento che ha fondato la propria decisione sulla circostanza che la modifica del rapporto di lavoro part time in rapporto di lavoro a tempo pieno possa avvenire solo con il consenso del lavoratore, mentre l’art. 16 del “collegato lavoro”, nel consentire al datore di lavoro pubblico di trasformare unilateralmente il rapporto di lavoro , anche contro la volontà del lavoratore, si pone in “insanabile contrasto” con la normativa europea. Lo evidenzia in una nota la Fp Cgil, sottolineando come l’art. 16 della legge 183/2010 (collegato lavoro) consenta difatti alle pubbliche amministrazioni di sottoporre a nuova valutazione i rapporti di lavoro part time, con la conseguenza della revoca degli stessi. Nella sentenza del Giudice del Lavoro del Tribunale di Trento si legge, in merito all’articolo 16 della legge n. 183/2010 che: la difformità dell’art. 16 della legge 4-11-2010 n° 183, alla direttiva europea, 15.12.1997, n 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul part-time del 6 giugno 1997 dell’Unice, del Ceep e della Ces, recepita dall’Italia con il decreto legislativo n. 61 del 2000, nella parte in cui attribuisce alla pubblica amministrazione di poter trasformare, unilateralmente, i rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale alla sola condizione del “principio di correttezza e buona fede” senza il consenso del lavoratore, discrimina il lavoratore part-time rispetto al lavoratore a tempo pieno, che rimane soggetto al potere del datore di lavoro pubblico, di modificare unilateralmente la durata della prestazione lavorativa. In una nota, la Uilpa sottolinea che “la sentenza del Tribunale di Trento assume notevole importanza considerato che le amministrazioni, nel riesaminare i contratti già stipulati alla data di entrata in vigore del citato  decreto-legge, hanno posto in situazioni di enorme difficoltà tanti lavoratori per i quali la scelta del rapporto di lavoro a tempo parziale costituisce un’esigenza di primaria importanza nella conciliazione delle problematiche lavorative e delle esigenze familiari, ripristinando spesso condizioni di estrema complessità gestionale e organizzativa della vita quotidiana, con implicazioni anche di natura economica”. Per il profilo che assume, continua la nota, “si tratta di una sentenza dirompente, che si pone come battistrada nella battaglia che molti lavoratori hanno intrapreso o stanno intraprendendo in difesa della propria dignità umana”. Nello specifico, dalla lettura della sentenza, si coglie come la norma “incriminata” si ponga in evidente contrasto con i contenuti della direttiva comunitaria n. 97/81 del 15 dicembre 1997 concernente il lavoro a tempo parziale. In particolare, tra le motivazioni, viene rilevato come “il cit. art. 16 della legge 4.11.2010, n. 183, confliggendo con la direttiva 15.12.1997, n. 97, n. 97/81/CE, debba essere disapplicato”.

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