Lo split payment complica i controlli fiscali sui creditori

Fonte: Il Sole 24 Ore

La circolare 1/2015 dell’agenzia delle Entrate ha lasciato irrisolti diversi problemi per l’applicazione dello split payment. In tema di note di accredito, non è ancora chiaro se la loro regolazione finanziaria debba seguire, o meno, le nuove regole. La soluzione affermativa, che porta l’ente locale ad effettuare versamenti netti (al netto, cioè, dell’Iva sulla nota di variazione che resta compensata con l’Iva a debito delle altre fatture) implica – in capo all’ente – l’attribuzione di un potere di compensazione che non sembra esattamente allineato al nuovo articolo 17-ter del decreto Iva. Ferma restando poi, la distinzione tra le note di accredito a seconda della loro destinazione commerciale o istituzionale, occorrerebbe in ogni caso mantenere traccia delle compensazioni effettuate.

Sulle verifiche di eventuali mancati pagamenti di cartelle esattoriali per importi superiori a 10mila euro, non è ancora stato chiarito se, nel contesto dello split payment, la soglia vada calcolata al lordo o al netto dell’Iva, e se l’eventuale versamento a Equitalia riguardi somme al netto o al lordo dell’imposta. Problemi analoghi si riscontrano in relazione ai versamenti sostitutivi agli enti previdenziali: se il responsabile unico del procedimento riscontra un’inadempienza contributiva, egli è tenuto – lo prevede l’articolo 4, comma 2, del Dpr 207/2010 – a trattenere dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza, per il suo successivo riversamento agli enti previdenziali/assicurativi. Anche in questo caso i riversamenti dovrebbero avvenire al netto dell’Iva.

Da chiarire, inoltre, l’applicazione dello split payment sugli acquisti di beni/servizi promiscui, in quanto destinati per una parte all’attività istituzionale e per un’altra ad attività commerciali. In attesa di istruzioni ministeriali, si possono ipotizzare due diverse opzioni. La prima prevede che l’Iva promiscua venga contabilizzata come se interamente riferita all’attività commerciale, partecipando così alle liquidazioni periodiche; dopo di che, la distinzione fra acquisti commerciali e acquisti istituzionali andrebbe comunque fatta, secondo le vigenti regole di pro-quota, ai fini del corretto esercizio della detrazione.

La seconda opzione prevede che la distinzione tra la quota parte commerciale e quella istituzionale venga effettuata fin da subito, così che le successive annotazioni sui registri Iva riguardino solo la parte di acquisti a destinazione commerciale. La prima ipotesi appare più flessibile (molto dipende, comunque, dalla struttura organizzativa interna e dalla configurazione del software); la seconda riflette in modo più preciso la distinzione tra acquisti istituzionali e acquisti commerciali proposta dal decreto del 23 gennaio. Resta poi il fatto che la ripartizione in base ai pro-quota deve essere fatta in via preventiva, senza tuttavia che siano possibili conguagli a posteriori su base annuale (come invece è ammesso a proposito della misura della detrazione dell’imposta).

Un ultimo problema riguarda le associazioni sportive, le pro-loco e gli altri soggetti che, in base alla legge 398/1991, beneficiano della detrazione Iva forfettaria del 50% calcolata sull’imposta a debito derivante dalle fatture relative alle attività commerciali. Resta evidente che il meccanismo di calcolo dell’imposta da versare secondo la legge 398/1991 è sostanzialmente incompatibile con lo split payment. In mancanza di istruzioni ufficiali, tuttavia, gli enti locali non possono esimersi dall’applicare lo split payment per l’intero (e non solo per il 50%). Anche perché il caso di specie è tecnicamente diverso dai regimi speciali Iva che non prevedono l’evidenza dell’imposta in fattura (regime del margine, editoria, agenzie di viaggio, cessioni di rottami, eccetera) per i quali l’applicazione dello split payment resta invece esclusa.

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