Letta: serve un patto sulla legge di stabilità

Fonte: Corriere della Sera

OTTAWA – Dovremmo imparare dalla Germania, dove sono più realisti di noi, dove i risultati elettorali vengono rispettati. Lo dice Enrico Letta, qui in Canada, accanto al primo ministro, nei saloni del Parlamento che ospitano la conferenza stampa. Il capo del governo ha appena telefonato alla Merkel, si è congratulato, anche dell’intenzione, espressa dalla Cancelliera, di formare un governo di larga coalizione.

Le elezioni tedesche sono l’occasione di parlare di Italia, del suo governo, costretto a fibrillazioni continue: «Ovviamente – dice rivolto ai partiti di casa nostra – tutti vogliono vincere le elezioni. Ma se ciò non succede, è evidente che bisogna fare qualcosa di utile per il Paese, dal voto tedesco emerge un modello di cooperazione simile al nostro. Forse in Italia si capirà che quando i nostri elettori ci obbligano ad una grande coalizione bisogna farsene una ragione».

Per Letta la vittoria di Angela Merkel è «un risultato che dà slancio ad un’Europa più solidale, le ho fatto gli auguri per un successo che la mette fra i grandi di Germania, al fianco di Adenauer e Kohl». Un successo che può rappresentare qualcosa di importante per tutta la Ue: c’è soddisfazione per il fatto che il partito antieuro sia rimasto fuori dal Parlamento tedesco, «il contrario sarebbe stato un disastro per l’Europa, per l’Italia e per la competizione globale. Ho invitato Angela Merkel a venire a Roma per mettere a punto questioni importanti in vista del semestre di presidenza europea e stabilire cosa si può fare in una fase in cui cambiano molti vertici della governance dell’Unione».

Ma il risultato elettorale tedesco è solo lo spunto per parlare di Italia e delle prossime sfide che il governo dovrà affrontare: Letta resta convinto di poter superare le difficoltà di questo periodo e la «la legge di Stabilità sarà il passaggio chiave, il momento in cui chiameremo la coalizione ad assumersi gli impegni per il futuro, per tutto il 2014».

Sarà insomma il momento per siglare una sorta di patto di coalizione fondato sull’agenda economica per l’anno prossimo: un processo che coinvolgerà anche le parti sociali. I sindacati minacciano lo sciopero generale, Confindustria chiede con forza interventi sul cuneo fiscale, Letta risponde ad entrambi lodando ancora una volta l’accordo congiunto di qualche settimane fa, un’intesa che «sarà parte integrante» del lavoro che verrà fatto per la legge di Stabilità, «un lavoro comune, che proseguiremo prima del varo della legge».

Un provvedimento che per il presidente del Consiglio dovrebbe rafforzare l’esecutivo, rilanciare le ragioni delle larghe intese, impostare una politica economica in grado di accompagnare la ripresa: «Spero nel segno più per fine anno, mentre il 2014 sarà certamente un anno di crescita, un dato fondato non su un generico ottimismo, ma su fatti concreti, le riforme fatte» anche dal governo precedente, i provvedimenti di incentivazione fiscale varati di recente, i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione. Atti che produrranno frutti, anche nel breve e medio periodo.

Anche per questo «scriveremo una legge ambiziosa. Cosa che non si può fare se non c’è un impegno comune per tutto il 2014. Tutti dovranno dire cosa vogliono fare per il futuro. Penso ad una discussione forte ed importante. E sono convinto che supereremo gli ostacoli posti dalle fibrillazioni di questi giorni».E questa volta la legge di Stabilità sarà scritta «in autonomia», dal governo «e non da Bruxelles».

Subito dopo la conferenza stampa, gli ultimi incontri con il governo canadese, Letta vola a New York: da oggi tre giorni fitti di incontri, con la comunità finanziaria, a Wall Street, e in sede Onu, serviranno anche a spiegare il senso del provvedimento recente, soprannominato Destinazione Italia, «più di 50 atti concreti per attirare investimenti, in un Paese che è naturalmente attrattivo, ma a cui servono regole per non esserlo solo sulla carta». Un Paese che ha nei nostri connazionali all’estero, come la comunità italo-canadese, dei rappresentanti «di cui essere orgogliosi e che spesso hanno rappresentato l’Italia meglio della nostra politica, che con il loro lavoro e la loro forza sono stati più credibili della politica di Roma, troppo spesso confusa e complessa».

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