Legali p.a. imprigionati

Fonte: Italia Oggi

Gli avvocati degli uffici legali degli enti pubblici possono patrocinare cause solo per l’ente di appartenenza. Il principio, affermato dalla legge professionale forense del 1933, riconfermato dalla riforma del 2012 (legge n.247) e più volte interpretato restrittivamente dalle sezioni unite della Cassazione, non ammette deroghe. Nemmeno per la difesa legale delle società partecipate dall’ente di appartenenza. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 91/2013 depositata ieri in cancelleria. La Consulta ha bacchettato il tentativo della regione Campania di estendere le prerogative della propria avvocatura interna, fino a ricomprendere anche l’attività di consulenza e patrocinio in giudizio verso gli enti strumentali e delle società interamente partecipate dalla regione. Tutto questo in una norma contenuta nella Finanziaria regionale per il 2009 (lr 19 gennaio 2009 n. 1) già finita nel mirino dei giudici, visto che lo stesso Tar Campania l’ha ritenuta costituzionalmente a rischio trasmettendo gli atti alla Consulta.

La regione si è difesa rivendicando la propria competenza in materia di professioni, ma si è trattato di un’argomentazione incoferente dato che le prerogative regionali in materia sono limitate solo «agli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale», mentre invece la disciplina delle professioni «è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo stato». E le leggi statali parlano chiaro.

Il punto di partenza è la legge professionale forense del 1933 che ha sancito che la professione di avvocato è incompatibile con qualunque impiego o ufficio retribuito con stipendio a carico dello stato. Il principio, ha ribadito la Corte, è di stretta interpretazione, e conosce deroghe limitate solo «per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale gli avvocati prestano la loro opera» a condizione che siano iscritti nell’elenco speciale annesso agli albi professionali. Le eccezioni al principio generale dell’incompatibilità vanno dunque interpretate in maniera restrittiva e non sono suscettibili di estensione analogica. Sul punto non hanno mai avuto dubbi le sezioni unite (con numerose sentenze dal 1996 al 2009) e nemmeno il legislatore che, riformando l’ordinamento forense l’anno scorso (legge n.247/2012), ha sostanzialmente riconfermato il principio. Tanto che la Consulta ha deciso di trattenere la questione per deciderla nel merito, anziché dichiarare l’inammissibilità per ius superveniens come di solito accade nel caso di normativa sopravvenuta.

La decisione ha bacchettato la regione Campania, la cui normativa, consentendo agli avvocati regionali di svolgere attività di patrocinio e consulenza anche a favore di enti strumentali e società partecipate, «amplia la deroga al principio di incompatibilità, prevista dal legislatore statale esclusivamente in riferimento agli affari legali propri dell’ente pubblico di appartenenza». Infatti, conclude la sentenza redatta dal giudice Marta Cartabia, «la norma secondo cui gli avvocati dipendenti possono patrocinare solo per l’ente di appartenenza non è suscettibile di estensione da parte del legislatore regionale, ma rientra nell’ambito dei principi fondamentali della materia delle professioni».

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