Lavoratori pubblici, no bancomat

Fonte: Italia Oggi

I lavoratori pubblici non possono essere il bancomat dei governi quando i conti non quadrano. Quello che la Cisl sostiene dalla scorsa estate è una proposta fatta di risparmi, di riorganizzazione, di reingegnerizzazione di processi e servizi per realizzare una riqualificazione vera della spesa pubblica e della p.a. Come già con la manovra estiva dello scorso anno, invece, ancora una volta si vanno a cercare le risorse dove è più facile trovarle. E il dibattito sulla Finanziaria si accende sull’intensità del rigore, a prescindere dagli effetti: c’è chi la vuole ancora più dura, già ma contro chi? Tanti governi, stessa diagnosi, nessuna terapia seria. La serie di misure del provvedimento non sorprendono affatto se si pensa che in Italia nessun governo, centrale o locale, ha mai pensato a un corretto accantonamento dei soldi per pagare i propri dipendenti. E che anche quando le vacche erano meno magre, le difficoltà di reperire i fondi hanno sempre mostrato tutto il deficit di responsabilità da parte delle classi dirigenti. Far passare questa idea ha sempre avuto i contorni di una fatica di Sisifo, indipendentemente dal colore politico della maggioranza. E anche per regioni e autonomie locali la lungimiranza di mettere da parte le risorse per contratti decentrati che sostenessero produttività e innovazione è stato troppo spesso l’ultimo dei pensieri. Oggi siamo all’ennesima puntata dello stesso film, proiettato in tutte le sale d’Europa, e preceduto dal solito teatrino degli annunci e delle smentite. Insomma tanti governi e stesse diagnosi sul pubblico impiego, poi nessuna terapia seria. Solo aspirine a digiuno per curare uno stomaco già ulcerato. Mai nessun medico, fra i tanti esecutivi che si sono succeduti, ha voluto combattere i mali veri che affliggono il corpo della p.a. E così le metastasi si sono moltiplicate, senza che nessuno decidesse davvero di tagliare i posti dirigenziali, di ridurre gli enti, di accorpare i servizi. La ricetta della Cisl: risparmi di gestione e contrattazione (decentrata) responsabile. La Cisl continua a sostenere che le economie di gestione sono l’unica strada alla crescita delle retribuzioni dei lavoratori e che la priorità è dotare finalmente la contrattazione integrativa di una base cogente rispetto alla ricerca delle disponibilità finanziarie. Vale a dire dei soldi risparmiati su sprechi e cattiva gestione da distribuire a chi lavora. Proprio in un contesto complesso, difficile, che non offre grandi spazi di manovra, il concetto chiave è che senza contrattazione responsabile non c’è innovazione organizzativa, senza innovazione organizzativa non c’è razionalizzazione di spesa. D’altra parte prolungare il blocco della contrattazione nazionale non significa rimettere a posti i conti. Non è solo sulle persone fisiche che si devono fare i risparmi, ma sui tanti e troppi sprechi e sulle tante e troppe società di consulenza. Sui costi spropositati della politica, sui privilegi e le sinecure sui cui binari si muove la macchina delle clientele. Ristrutturare la spesa pubblica. Sappiamo bene che la sostenibilità della spesa pubblica va garantita, noi diciamo però che la spesa pubblica deve essere ristrutturata. Così come sappiamo che per evitare i tagli lineari servono buoni piani di razionalizzazione. I vincoli del patto di stabilità europeo non possono essere ignorati. Né può essere ignorata la necessità di sfuggire alla dinamica di un debito pubblico che crescendo non fa che aumentare il rischio di instabilità e spostare sulle generazioni future i costi dell’irresponsabilità di oggi. Ma una semplice operazione di maquillage non serve a nulla. Come non serve comprimere allo stremo i salari pubblici lasciando aperti i rubinetti della spesa improduttiva: sarebbe una partita persa in partenza, e il problema si ripresenterebbe ancora nell’arco di poco tempo. Esattamente com’è avvenuto oggi dopo il dl 78/2010. Serve piuttosto ridisegnare il sistema di gestione delle risorse pubbliche, il modo di impiegarle, la configurazione stessa del sistema pubblico. A partire dall’architettura istituzionale e dall’organizzazione del lavoro: con meno enti, meno poltrone, meno dirigenti; e con più consorzi, più servizi sul territorio, più giovani e nuove professionalità. Cioè i presupposti per più servizi di qualità. Guardare indietro o pensare al futuro? Il punto è che sono due le strade per tenere in ordine i bilanci. La prima è quella che guarda al passato: utilizza solo il blocco del turnover e impone uno stop forzato ai salari. È una scelta miope che rende poco e danneggia lavoratori e cittadini quando diminuisce i servizi. Agisce sui numeri, senza guardare le persone. Considera gli obiettivi solo in termini finanziari, senza progetto e senza visione per il futuro. Come la lesina dei tagli orizzontali che colpiscono indiscriminatamente le amministrazioni efficienti e quelle non efficienti, i servizi su cui investire e quelli da riconvertire, le spese produttive e i cespiti da eliminare. La seconda strada è quella innovativa: puntare sulla produttività e accorpare pezzi frammentati di settore pubblico. Come succede per le aziende private: si parla da sempre di nanismo imprenditoriale, ma si continua a sottovalutare il nanismo istituzionale, cioè la forma pulviscolare e poco integrata di enti, agenzie e aziende che producono sperperi e inefficienze, impedendo le economie di scala. Dalla Cisl proposte concrete. Per questo fin da settembre 2008 abbiamo avanzato la proposta di riconfigurare la presenza territoriale delle amministrazioni centrali (dalle sedi locali dei ministeri alle agenzie fiscali) attraverso una modalità appropriata di razionalizzazione organizzativa e di evoluzione del rapporto con l’utenza: la «Casa unica dei servizi», un centro unico di riferimento nel territorio in grado di unificare l’interfaccia con i cittadini e le imprese, e di semplificarne gli adempimenti amministrativi. E poi costruire in ogni provincia una «Casa unica del welfare», della previdenza e dell’assistenza, in modo da riunire nel territorio tutte le funzioni di raccordo con gli utenti. Una soluzione organizzativa nuova, per semplificare gli adempimenti a cittadini e imprese, rendere più immediata ed agevole la fruizione dei servizi e mettere insieme le porte d’accesso alle prestazioni oggi disperse in mille sedi e mille stanze. Generando risparmio, investimenti, qualità amministrativa. Infine riteniamo prioritario l’accorpamento degli enti: è una strada da percorrere laddove si possono ricavare economie che avvantaggiano il cittadino senza pregiudicare i servizi. Così come si è iniziato a fare rispetto alla semplificazione del quadro degli enti assistenziali e previdenziali. E dove peraltro si può fare molto di più. Ma anche rispetto ai consorzi e alle unioni di comuni, che nelle esperienze più virtuose hanno consentito di riversare la spesa (razionalizzabile) per costi fissi in miglioramento dei servizi e minori costi al contribuente. Questa d’altra parte è la via di un federalismo vero e responsabile: in cui il livelli amministrativi si integrano e non si moltiplicano, le funzioni si semplificano e non si complicano, le amministrazioni si avvicinano ai bisogni e non si sovrappongono. E in cui si possono accorpare anche province e regioni, servizi sanitari e servizi sociali. Ecco perché piuttosto che pensare a soluzioni draconiane che dal centro irradiano «tagli a pioggia» su tutta la struttura amministrativa, è molto meglio intervenire con la spending review. Ente per ente, bloccando l’ostracismo di certi amministratori e dirigenti, per recuperare risorse, costruire risparmi, remunerare e valorizzare il personale. La parola d’ordine, in un sistema complesso e diversificato come la p.a., è selettività. E la selettività è la conseguenza del controllo sulla spesa esercitato da chi ha interesse a farlo, lavoratori e cittadini in primis, e del contributo di chi sa far valere soluzioni appropriate, a partire dal ruolo determinante del sindacato responsabile. Serve dunque una nuova stagione di governance per cittadini e non per gli amministratori. Una stagione che unisca le forze su obiettivi comuni e condivisi. Ma con più partecipazione dei lavoratori per riorganizzare gli uffici e far costare meno i servizi al cittadino.

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