L’Aula spinge su pensioni e condono

Fonte: Il Sole 24 Ore

ROMA – Il varo definitivo della seconda manovra correttiva in due mesi e il cinquantesimo voto di fiducia del Governo Berlusconi si sono svolti secondo il solito copione. Con la maggioranza impegnata a difendere i contenuti del Dl 138 e l’operato dell’Esecutivo e l’opposizione intenta a respingere le norme e chiedere un «passo indietro» al premier Silvio Berlusconi. Anche se, come spiega l’altro articolo qui accanto, non sono mancati i momenti di tensione. Sia fuori che dentro l’aula di Montecitorio. Dove sono passati, con il consenso del Governo, due ordini del giorno su condono fiscale e pensioni d’anzianità. Proprio l’esame degli odg ha impegnato l’assemblea per gran parte del pomeriggio. In preda a un attacco di sovrapproduzione, favorito dalla “blindatura” decisa al Senato, i deputati ne hanno presentati 199. Molti sono stati dichiarati inammissibili. Tra quelli approvati spiccano la proposta di Domenico Scilipoti (Popolo e territorio) di introdurre una maxi-sanatoria tombale sulle pendenze tributarie degli ultimi cinque anni e un condono edilizio sui piccoli abusi realizzate entro il 2010. Proposta che è ha ottenuto l’ok del sottosegretario all’Economia, Alberto Giorgetti (Pdl). Caldo si è rivelato poi il fronte lavoro e previdenza. Come testimoniato dal via libera dell’Esecutivo, oltre che sull’ordine del giorno presentato da Cesare Damiano (Pd) sulla contrattazione, su quelli depositati dal pidiellino Giuliano Cazzola (su cui si veda il servizio a pagina 21) e dal leghista Gianluca Pini. Il primo punta al completamento della riforma delle pensioni con il superamento di quelle di anzianità; il secondo propone uno sconto sui requisiti pensionistici delle donne in misura di un anno di contributo per ogni figlio naturale. In mattinata il dibattito si è concentrato sulla fiducia chiesta dal Governo e sui contenuti della manovra bis approvata definitivamente ieri alla presenza di Berlusconi e dei suoi ministri. Il capogruppo del Carroccio a Montecitorio, Marco Reguzzoni, l’ha definita «necessaria perché evita rischi maggiori», attaccando la minoranza: «Immaginate se passasse la volontà della sinistra di far cadere il Governo: il Paese cadrebbe nel baratro». Parole interrotte da un gruppo di contestatori che ha srotolato dalle tribune uno striscione contro il Carroccio. «Basta Lega, basta Roma, basta tasse». Immediato l’intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha chiesto l’intervento dei commessi. In difesa della manovra si è speso anche il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, che ha polemizzato con l’opposizione: «Se avessimo seguito il suggerimento di Bersani, di finanziare la crescita con un punto di deficit, oggi saremmo nella stessa situazione della Grecia». Laddove il ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha sottolineato come l’esito del voto alla Camera rafforzi il Governo. A varo avvenuto si è poi pronunciato il responsabile delle riforme, Umberto Bossi che conversando con i giornalisti ha dichiarato: «Non c’erano alternative. Alla fine abbiamo frenato sulle richieste di tagli che arrivavano dalla Ue». Da menzionare la scelta dell’ex ministro Antonio Martino (Pdl) che non ha votato la manovra. Un no netto è giunto da Democratici, Idv e Terzo polo. A parlare per il Pd è stato l’ex segretario Walter Veltroni. Un giudizio molto duro (e molto applaudito dagli scranni della minoranza) il suo: «Serve un nuovo Governo con un’ampia base parlamentare», guidato da una personalità che abbia «credibilità in Europa», in grado di varare le riforme necessarie al Paese, altrimenti si piomberà in una «spirale di altre manovre» che però non raggiungeranno i loro obiettivi. Dal canto suo il capogruppo dell’Italia dei valori, Massimo Donadi, ha attaccato il presidente del Consiglio, definendolo «colpevole» di macchiato d’infamia il Paese. Critiche contro le scelte del Governo sono piovute anche dal vicecapogruppo centrista, Gian Luca Galletti: la manovra economica è «emergenziale, aumenta le tasse dell’86%, tasse che colpiscono le fasce più deboli della popolazione e le famiglie con figli», ed è «debole con i forti e forte con i deboli». Ancora sul piede di guerra infine le autonomie. Oggi i governatori hanno intenzione di prendere l’autobus, poche fermate nel centro di Roma, per andare a consegnare al ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto, i contratti per il trasporto pubblico locale. Contemporaneamente i sindaci restituiranno simbolicamente ai prefetti le deleghe sulle funzioni di anagrafe e stato civile e terranno aperte le porte dei municipi per informare i cittadini con tanto di volantinaggi sui rischi in arrivo a causa dei tagli ai servizi. E anche i presidenti di Provincia si daranno appuntamento davanti a Montecitorio. In tanta compattezza brillerà l’assenza degli amministratori leghisti, ai quali i vertici di via Bellerio hanno imposto il silenziatore. Tanto che il battagliero primo cittadino di Varese, Attilio Fontana, che non parteciperà alla manifestazione dei sindaci, ha polemicamente già comunicato le sue dimissioni dall’Anci Lombardia. La protesta di oggi l’ha sempre sostenuta e continua a condividerla, ma ora deve fare un passo indietro. E così continua a dirsi dalla parte dello “sciopero” dei primi cittadini: «Mai come oggi gli strumenti a nostra disposizione sono stati limitati dai tagli a trasferimenti e al patto di stabilità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *