L’attività di culto non porta alla cassa

Fonte: Il Sole 24 Ore

Ai fabbricati a uso religioso si applica sostanzialmente la disciplina dell’Ici (articolo 7 Dlgs 504/92), con qualche recente correttivo sulle attività miste. Si tratta di tre fattispecie di esonero. La prima (lettera d), di natura oggettiva, riguarda i fabbricati destinati esclusivamente al culto di qualsiasi confessione religiosa e le loro pertinenze, come la casa parrocchiale e gli oratori, questi ultimi esenti a prescindere dal vincolo di pertinenzialità (articolo 2 della legge 206/03 e risoluzione ministeriale 1/2004). La seconda (lettera e), di natura soggettiva, riguarda i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati nel Trattato Lateranense, tra i quali si segnalano le Basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, di Santa Maria Maggiore e di San Paolo, il palazzo di Castel Gandolfo e gli Istituti pontifici. Il terzo caso (lettera i) è quello più controverso e riguarda gli immobili (non solo i fabbricati) di proprietà degli enti ecclesiatici adibiti ad attività «di religione e di culto, quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi ed all’educazione cristiana» (articolo 16 lettera a legge 222/85). L’esonero dall’imposta non è applicabile se vengono svolte attività diverse da quelle di religione e di culto, come per la Casa religiosa di ospitalità o per il Monastero delle Orsoline adibiti anche a strutture ricettive (Cassazione 16728/10 e 23314/11). È tuttavia possibile da quest’anno individuare la parte “commerciale” dell’immobile, la sola da sottoporre a tassazione, sempre che si rispettino i requisiti indicati dal Dm 200/12.

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