La p.a. nasconde? Class action

Fonte: Italia Oggi

La poca trasparenza farà scattare la class action. Una volta approvati i decreti ministeriali previsti dall’articolo 1, comma 31, della legge anticorruzione, potrebbe costare caro alle pubbliche amministrazioni non adempiere agli obblighi di pubblicità, previsti dalla legge 190/2012 e dal dlgs 33/2013: infatti, l’inciampo sull’opacità dei dati è causa dell’azione collettiva di risarcimento del danno.

Per i cittadini singoli o associati, la possibilità di ricorrere contro le amministrazioni poco propense a rispettare gli obblighi di trasparenza è fissato dall’articolo 1, comma 33, della legge 190/2012, ai sensi del quale «la mancata o incompleta pubblicazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni di cui al comma 31 costituisce violazione degli standard qualitativi ed economici ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, ed è comunque valutata ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.

Eventuali ritardi nell’aggiornamento dei contenuti sugli strumenti informatici sono sanzionati a carico dei responsabili del servizio».

Il dlgs 198/2009 è, appunto, la norma che regola la class action, che può scattare proprio quando un’amministrazione pubblica gestisca le proprie attività violando obiettivi di qualità minimi inderogabili, cioè gli standard previsti dall’articolo 1, comma 1, del medesimo decreto.

L’articolo 1, comma 31, della legge anticorruzione rinvia ad uno o più decreti ministeriali il compito di determinare le informazioni rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme sulla trasparenza, in particolare riferite agli ambiti operativi a maggior rischio di corruzione: procedimenti di autorizzazione/concessione, appalti, concessione di sovvenzioni e contributi, concorsi.

I decreti fisseranno anche le relative modalità di pubblicazione, nonché le indicazioni generali per l’applicazione dei commi 29 e 30 sempre della legge anti corruzione, commi che specificano le modalità con le quali i cittadini, sia mediante la posta elettronica, sia attraverso l’utilizzo dei portali, potranno relazionarsi con le amministrazioni per avere notizie o addirittura gestire i procedimenti amministrativi di loro interesse.

Le amministrazioni, dunque, debbono stare sull’avviso. La normativa anticorruzione e sulla trasparenza non ha dato ai cittadini che pretendono la pubblicità dei dati obbligatoriamente pubblici solo l’arma dell’accesso civico, previsto dall’articolo 5 del dlgs 33/2013.

L’accesso civico è stato da molti considerato e presentato come uno sviluppo o potenziamento del diritto di accesso già regolato dalla legge 241/1990. Nulla di tutto questo. Le due fattispecie restano autonome e distinte. L’articolo 5 del dlgs 33/2013 è semplicemente un sistema non contenzioso, col quale qualsiasi cittadino può chiedere per le vie brevi (mail) alle amministrazioni di pubblicare informazioni, documenti e dati che dovrebbero essere contenute nei siti istituzionali, ma che risultino assenti.

Nel caso dell’accesso civico, il responsabile della trasparenza deve rispondere entro 30 giorni, accogliendo la richiesta o chiarendo che l’informazione era già presente.

Il dlgs 33/2013 non prevede espressamente rimedi contro l’eventuale inerzia dell’amministrazione. Ma il rimedio è appunto previsto dall’articolo 1, comma 33, della legge anticorruzione, che qualificando gli obblighi di trasparenza come standard qualitativi ed economici, permette di attivare l’azione di risarcimento conto le amministrazioni inadempienti.

In sintesi, i cittadini possono diffidare l’amministrazione, invitandoli alla pubblicazione entro il termine di novanta giorni. La diffida è notificata all’organo di vertice dell’amministrazione, che dovrebbe individuare il settore in cui si è verificata la violazione: nel caso di specie, ovviamente, il carico di responsabilità incomberà sul responsabile della trasparenza, che negli enti locali coincide (salvo motivate ragioni) col segretario comunale.

Il responsabile, di conseguenza, stabilirà come procedere per rimediare alla diffida e scongiurare il ricorso al Tar, proponibile se, decorso il termine di 90 giorni perduri la violazione alle regole sulla trasparenza.

Il giudice può ordinare, accogliendo il ricorso, l’adempimento e dalla decisione debbono derivare le conseguenze sanzionatorie a carico dei soggetti responsabili.

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