La deduzione dell’Imu assorbita dagli aumenti

Fonte: Il Sole 24 Ore

Talmente leggero da tradursi non in uno sconto, ma in un minor aumento. È così, a conti fatti, l’effetto della deducibilità del 20% dell’Imu da Ires o Irpef prevista dalla legge di stabilità, appena arrivata in Senato, per chi dichiara redditi d’impresa oppure da arti e professioni. Per chi paga l’Ires, il meccanismo garantisce un taglio d’imposta pari al 5,5% dell’Imu pagata, Imu che però nel 2013 è aumentata in modo lineare dell’8,3% (al netto delle aliquote locali) per la spinta data alle basi imponibili. Risultato finale: anche nel 2013 (data di debutto della deducibilità retroattiva prevista dalla manovra) si paga comunque più che nel 2012. E nel 2014 si aggiungerà la Tasi, il nuovo tributo per i servizi locali che ad aliquota standard si rivela spesso più alto della maggiorazione Tares che va a scomparire. Con alcune minime eccezioni nel 2013, come nel caso di un laboratorio artigiano.

I calcoli sono nei grafici pubblicati qui a fianco, ma val la pena di ricordare la vicenda che ha partorito la scelta di riservare qualche sconto alle imprese.

Tutto nasce dal fatto che il passaggio da Ici a Imu è stato particolarmente doloroso per industrie, alberghi, centri commerciali e attività economiche in genere, che hanno subìto in pieno l’aumento delle basi imponibili (fino al record del 62,5% per i negozi) e delle aliquote, gonfiate ulteriormente dai Comuni. La mossa si è tradotta in incrementi fiscali enormi (anche del 250%, per esempio a Milano), che ha portato imprese e commercio a pagare il 41% dell’Imu totale. Quota che sale al 50% con lo stop all’imposta sull’abitazione principale.

Di qui la scelta di correre ai ripari, anche perché un’imposta che tratta un capannone o un albergo, strumenti di lavoro, come una villa al mare non pare il massimo dell’equità: «È come tassare un tornio», esclamò con sintesi efficace qualche mese fa il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, rilanciando le intenzioni del Governo di mettere mano al problema. La deducibilità si è trasformata in promessa ufficiale con il decreto Imu di maggio, quello che ha sospeso la prima rata Imu sulle abitazioni poi abolita, ma nonostante gli sforzi il decreto con la riforma della tassazione delle imprese non è mai arrivato.

Lo sconto rispunta ora nel Ddl stabilità, ma la finanza pubblica è avara e la disponibilità scarsa. I 274,3 milioni all’anno bastano solo per far scontare a imprese e artigiani un quinto dell’Imu, che sottratta all’imponibile Ires produce un taglio effettivo del 5,5%. Se l’immobile in questione è di categoria D, cioè è un capannone, un albergo o un centro commerciale, il minisconto si incontra con l’aumento dell’8,33% subito nel 2013 dal valore catastale, e dal confronto nasce ovviamente perdente.

L’effetto della Tasi, invece, per i capannoni dipende dalle caratteristiche del singolo immobile: la Tares (con la maggiorazione che la Tasi va a sostituire nel 2014) si paga solo sulle parti trattate come depositi, perché le produzioni pagano il trattamento dei rifiuti speciali (negli esempi si è ipotizzato che il 50% della superficie sia a deposito). Gli esempi sono stati costruiti considerando due possibilità: l’aliquota Imu standard (0,76%) e quella media reale, lo 0,933% nel 2012 (rilevata da Ifel), stimata valida anche per 2013 e 2014.

La copertura di questo mini sconto graverà sui proprietari di case sfitte o comunque non locate (come quelle date in comodato), possedute da cittadini che hanno l’abitazione principale nello stesso comune. Pagheranno l’Irpef sulla rendita catastale aggiornata del 5% e aumentata di un terzo. Sono invece escluse le case vacanza, possedute fuori dal comune in cui si abita.

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