Il paradosso del comune modello di Seriate

Fonte: Corriere della Sera

MILANO – «La Silvana», come la chiamano in paese e nella Lega, il classico bel giorno si è stufata. Ai suoi l’ha detto scherzando – di mollare in realtà non ha alcuna intenzione – ma la battuta rende perfettamente l’idea: «Mettetemi in aspettativa e torno poi, quando potrò spendere i soldi». Perché è questo il suo problema. «La Silvana» – Santisi Saita il cognome, sindaco della bergamasca Seriate la professione – di soldi da spendere ne avrebbe. E tanti. Il Comune da 23 mila abitanti che guida dal 2004 è in attivo dal 2000 (dopo i primi cinque anni di amministrazione leghista). Oggi ha 13 milioni lì, pronti (in teoria) per essere investiti «in opere pubbliche e servizi alla comunità ». Ma non può farlo. C’è il patto di stabilità, a impedire di usare più del 25% di quella somma. E Silvana Santisi Saita – origine siciliana, matrice fortemente cattolica, Lega che l’ha apprezzata quando stava all’opposizio-ne e prima le ha chiesto di restare come assessore poi, innamoramento reciproco «sulla buona amministrazione», l’ha voluta portabandiera – dietro il sorriso è molto, molto arrabbiata. Non c’entra l’ideologia partitica. Non c’entra il federalismo di pura teoria. C’entra che nessuno è ancora riuscito a spiegarle per quale accidenti di ragione lei e altri sindaci come lei, siano di centrodestra o di centrosinistra, del Nord o del Sud (un po’ più rari, è vero), risparmino, taglino gli sprechi senza tagliare, anzi, i servizi ai cittadini, mettano da parte e dopo, però, non possano «usare». «Castigati – come dice lei – esattamente allo stesso modo di chi accumula buco su buco. È inaccettabile ». «La Silvana» potrebbe a questo punto – e in effetti un filo lo fa – lanciarsi in una tirata politica. Dopotutto, se Seriate è passata dalle cronache locali agli onori nazionali, è perché ieri La Padania ha eletto il suo sindaco a emblema della buona amministrazione. Segreti, però, a sentir lei non ce ne sono. Sembra (è?) tutto di una semplicità assoluta: «Non abbiamo consulenze, salvo per le professionalità – gli avvocati, per esempio, se servono – non presenti in Comune. La Giunta non costa quasi niente: gli assessori che hanno un lavoro prendono 438 euro, la metà di chi ha un ruolo a tempo pieno. Le indennità le abbiamo semmai tagliate, mai aumentate. E, per dire, quando sarei dovuta andare a Bruxelles per il “progetto energia” non mi sono mossa, ho delegato altri sindaci». È orgogliosa, Santisi Saita, di aver tagliato anche le multe, «non ho i semafori furbi, non ho mai vessato i cittadini, eppure sicurezza e viabilità li finanziamo lo stesso». Ma si infuria sempre se ripensa all’abolizione dell’Ici prima casa (stima sulle minori entrate: 1,5 milioni) e al fatto che però, in parallelo, «son dovuta andare a Roma a protestare perché mi pagassero l’affitto della caserma dei carabinieri». E peggio ancora per quella storia dei fondi che ha e non può spendere. «In questi anni abbiamo realizzato progetti per l’infanzia, i giovani, i vecchi. Abbiamo una residenza sanitaria per anziani e una biblioteca: prima non c’erano. Ora avremmo bisogno di una scuola nuova. Come ha visto, il mutuo potremmo permettercelo. Se non fosse che le norme ci impediscono di chiederlo. E allora chiedo io: se investissi potrei, per dirne una, allentare un po’ l’emergenza lavoro che, le assicuro, ormai si sente anche qui. Qualcuno mi sa dire perché, invece, mi devo tenere i soldi sotto il materasso?».

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