Feste tagliabili, sono pochissime

Fonte: Italia Oggi

Il ritorno di molteplici e tutt’altro che uniformi ipotesi di riduzione delle feste ha già sollevato reazioni negative: dai sindacalisti alla Chiesa, è stato un coro di no. «No al rullo compressore», è il titolo apposto da Avvenire, quotidiano dei vescovi, all’editoriale del direttore («Non toccate le ‘nostre’ feste», ammoniva l’occhiello).

Per la verità, sono circolati alcuni errori.

È in vigore una disposizione voluta dall’ultimo governo Berlusconi. Essa è immediatamente applicabile, nel senso che entro il prossimo 30 novembre il presidente del Consiglio può emanare un decreto perché una determinata festa nel 2013 sia spostata al venerdì precedente o al lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva, ovvero resa coincidente con la domenica stessa. Non si possono toccare le feste derivate da accordi con la S. Sede: Capodanno, Epifania, Assunzione, Ognissanti, Immacolata e Natale. Non si possono toccare il 25 aprile, il 1° maggio e il 2 giugno, perché la retorica imperante ha fatto sì che il parlamento s’impuntasse nel considerare sacri e intangibili tali giorni. Che cosa resta, dunque? Pochissimo. Il lunedì dell’Angelo o Pasquetta; il 26 dicembre o santo Stefano; la festa patronale, diversa ovviamente in ogni comune.

In questi giorni circolano sui giornali, a destra come a sinistra, sul Giornale come sulla Repubblica, tabelle che ricomprendono Pasquetta e santo Stefano tra le feste religiose. Così proprio non è. Si tratta di feste stabilite dallo Stato, appoggiate alle due più importanti feste religiose, ma non religiose esse stesse. Chi vuole documentarsi, si legga il canone 1246 del Codex iuris canonici, e vedrà che fra i giorni di precetto non rientrano né il lunedì dopo Pasqua né il giorno successivo a Natale (per completezza: non figurano nemmeno nel Codice del canoni delle Chiese orientali). Già oggi, quindi, con decreto del presidente del Consiglio si potrebbero spostare quelle due feste. Se n’è reso conto Il Messaggero, che ha ricordato come «tra le feste a rischio, secondo indiscrezioni, ci sarebbe anche santo Stefano». Pure le feste patronali non rientrano fra quelle protette dall’usbergo concordatario (con l’eccezione del 29 giugno, ss. Pietro e Paolo, per Roma), e per la verità sono riconosciute tali soprattutto nei contratti di lavoro.

Se, invece, il governo volesse intervenire su tutte le altre giornate festive, avrebbe di fronte a sé due distinte strade. La prima, riguardante le feste civili, consisterebbe in un provvedimento legislativo che togliesse l’intangibilità a 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno. La seconda, concernente le feste religiose tutelate da accordi con la S. Sede, consisterebbe in un’intesa con la controparte d’Oltretevere per spostare alla domenica qualche festa religiosa. Si fece così già per ben cinque feste, nel 1977: Epifania, san Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini e ss. Pietro e Paolo. Poi, vennero recuperati due giorni: l’Epifania e, limitatamente a Roma, i ss. Pietro e Paolo. Si tratterebbe di riaprire un discorso già svolto. Va rilevato che nel ’77 non si elevarono, nonostante una cancellazione quasi massiccia di feste sia civili sia religiose (comprese le «solennità civili»), polemiche così dure come oggi càpita al semplice annuncio.

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