Federalismo, un avvio indolore

Fonte: Italia Oggi

Tra cinque e dieci anni per l’attuazione completa del federalismo fiscale. E gli enti potranno stare tranquilli sugli esuberi di personale. A dirlo è stato Michelino Davico, Sottosegretario al Ministero dell’Interno, che si sta occupando anche dell’applicazione del federalismo fiscale e municipale, tra i relatori del Convegno Nazionale Ancrel dal titolo «Il futuro degli enti locali ? i vincoli della manovra estiva e le prospettive del federalismo municipale» tenutosi il 16 ottobre scorso nella sala del consiglio della Provincia di Bologna (evento inserito nell’ambito del programma delle celebrazioni per il ventennale dalla fondazione dell’Associazione Certificatori e Revisori Enti Locali e che ha registrato una grande partecipazione di pubblico). Domanda. Senatore Davico, perché per l’attuazione completa del federalismo fiscale in Italia ci vorranno cinque o forse dieci anni? Risposta. Indubbiamente occorre tempo per l’entrata a regime del federalismo fiscale; i motivi sono almeno tre, uno di carattere normativo, uno di carattere tecnico fiscale, uno di carattere economico sociale. Sul piano normativo occorre che i lavori parlamentari, sia in aula sia in commissione, i lavori nella Conferenza Stato-Città e conferenza unificata, proseguano secondo il normale calendario tenendo conto della complessità della materia e dei necessari diversi passaggi. Sul piano tecnico fiscale è facile immaginarsi come, l’introduzione di un’imposta rivoluzionaria come l’imposta municipale propria, che ricordiamo, sostituirà l’imposta di registro ipotecaria catastale, l’irpef fondiaria, l’imposta sulle successioni, l’imposta sui mutui e altri tributi immobiliari minori, richieda tempo. Sul piano economico sociale, mi preme evidenziare, come il federalismo fiscale non possa non tenere conto delle differenze esistenti nel Paese a livello di sviluppo economico e infrastrutturale e di conseguenza debba cercare di perequare il più possibile le risorse, sulla base di entrate standardizzate e nel rispetto di limiti di spesa definiti da fabbisogni standard su cui stiamo lavorando, la perequazione si attua con un fondo perequativo ragionato, che non si può improvvisare ma che anzi va calcolato e adeguato con grande cautela. È evidente quindi che il percorso previsto – nella sua completezza – richieda sperimentazione, continui adattamenti per essere effettivamente quello strumento di responsabilizzazione sull’uso delle risorse, ma anche di leva per lo sviluppo economico che vogliamo sia. Stiamo lavorando alacremente affinché si possano percepire i primi effetti e cambiamenti a partire già dal prossimo esercizio finanziario. D. Per intenderci, come si intende applicare nel concreto il federalismo? A quali imposte si vuole da subito fare riferimento e a quali tagli sui trasferimenti? R. Ci saranno due fasi: nella prima saranno devolute agli enti locali quote di gettito di tributi immobiliari oggi di competenza dello Stato e conseguentemente ridotti i trasferimenti erariali; nella seconda, dal 2014, entreranno in scena l’imposta municipale propria, che si baserà sia sul possesso sia sul trasferimento di immobili e l’imposta municipale secondaria, che si baserà sull’occupazione di aree demaniali e patrimoniali indisponibili. Prima ancora, già dall’anno prossimo, entrerà in scena la cedolare secca, l’imposta sostitutiva con aliquota del 20% sui redditi da locazione immobiliare a uso abitativo; anche la cedolare secca sarà di competenza dei comuni. D. Si dovrà, a suo avviso, operare gradatamente oppure con una applicazione «a mannaia»? R. Il percorso che abbiamo definito è impostato su un approccio graduale, quindi il federalismo fiscale sarà introdotto secondo tempi e modalità definite dagli schemi di decreti attuativi della Legge 42/2009 proprio per evitare effetti distorsivi. D. Con l’applicazione dei costi standard, si introdurrà anche una legge speciale sugli esuberi di personale negli enti locali? R. Comprendo dove la domanda vuole andare a parare, ma escludo categoricamente che ci possano essere esuberi di personale, anche perché le norme sul contenimento della spesa del personale, che sono in vigore ormai da anni, garantiscono sia un controllo dei limiti di spesa, sia dal 2011 anche un controllo delle nuove assunzioni sulla base delle cessazioni. I costi standard, o meglio i fabbisogni standard per gli enti locali, saranno invece un obiettivo di spesa finalizzato alla responscbilizzazione; non è possibile che la stessa funzione e quindi le stesse prestazioni comportino spese diverse in diverse aree geografiche. D. Come è risultato il primo test di applicazione del federalismo demaniale? R. È ancora presto per dirlo visto che il dlgs 85/2010, dedicato appunto al federalismo demaniale, dà tempo 180 giorni (quindi arriveremo a fine dicembre 2010) all’agenzia del demanio per la stesura degli elenchi dei beni demaniali che possano essere richiesti dagli enti locali per la loro valorizzazione. Anche qui comunque confidiamo sul senso di responsabilità da parte degli amministratori degli enti locali e sulla valorizzazione di beni immobili, che gestiti secondo il principio di sussidiarietà, possano garantire meglio il soddisfacimento dei bisogni della collettività amministrata. D. Un’ultima domanda: cosa ne pensa del concetto di rendimenti standard per le società partecipate dagli enti locali? R. Il rendimento standard delle società partecipate degli enti locali lo dovrebbe fare il mercato e non essere imposto per legge. Certo la norma può imporre, come già sta facendo, obblighi stringenti alle aziende pubbliche locali per la massimizzazione della qualità delle prestazioni erogate ai cittadini e nel contempo per il rispetto dei principi di economicità, efficacia ed efficienza. Il resto lo fa il mercato a maggior ragione con la competitività che si verrà a determinare con la piena attuazione dell’art. 23-bis Legge 133/2008 come recentemente modificato dall’art. 15 Legge 166/2009.

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