E ora declassamenti a cascata

Fonte: Il Sole 24Ore

L’onda d’urto del declassamento del rating dell’Italia da parte di Standard&Poor’s ancora non ha terminato di dispiegare i suoi effetti. Questione di ore e, come accaduto a maggio, la decisione assunta nei confronti del debito sovrano verrà replicata a cascata su società controllate, enti locali e banche. Ma pensare che questo avvenga come un automatismo che si applica indistintamente per tutti sarebbe un errore: l’agenzia di rating ha adottato una serie di criteri – in verità alquanto complessi e sempre in evoluzione che rendono difficile coglierne a pieno le logiche – per cui alcune società controllate dallo Stato vengono incluse nell’effetto cascata a differenza di altre. Stesso discorso vale per gli enti locali e le banche. A maggio S&P aveva deciso di modificare l’outlook della Repubblica italiana da stabile a negativo: nel mirino l’alto debito pubblico combinato con prospettive di crescita stimate dal governo italiano per il 2012 e il 2013 che già allora gli analisti americani ritenevano ottimistiche. La decisione è stata comunicata il 21 maggio. Tempo uno o due giorni e la medesima modifica dell’outlook è stata estesa a 12 enti locali: le province di Ancona, Mantova, Roma; le regioni Marche, Sicilia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria; i comuni di Bologna, Genova, Lucca. Tutti con un rating long term A+ allineato con quello dello Stato. E ancora: quattro banche, IntesaSanPaolo (più quattro società partecipate), Mediobanca, Bnl e Findomestic. Infine quattro controllate dallo Stato: Cdp, Poste, Terna ed Enel. È molto probabile che, a ridosso del declassamento del rating della Repubblica, si ripeta lo stesso copione con la riduzione di un gradino del giudizio di merito del debito di questi soggetti. Anche se rivedere l’outlook è cosa diversa dal declassare: non tutti hanno infatti lo stesso rating. Inoltre, un taglio del rating comporta un inevitabilmente un aumento del costo del debito, con un impatto non indifferente soprattutto per gruppi molto indebitati come Enel, che a fine 2010 aveva ridotto l’esposizione sotto 45 miliardi per poi salire a 46,1 miliardi a fine giugno 2011. Non è da escludere, però, che l’onda d’urto della decisione di S&P possa questa volta includere nuovi soggetti. Partiamo dalle società controllate. L’agenzia americana ha adottato, soprattutto dopo la crisi Lehman, il criterio delle «government related entities» per valutare il profilo di rischio di società che non si limitano ad essere controllate dallo Stato. Questo criterio consente all’agenzia di avvalersi di un metro di valutazione ulteriore, che tiene conto di particolari legami di quella società con il mercato domestico, della sua dipendenza dal quadro regolatorio deciso da governo o da authority interne, dell’influenza che l’esecutivo è in grado di esercitare ma anche del ruolo di garante di ultima istanza che lo Stato ha dimostrato di avere o potenzialmente può avere in caso di difficoltà finanziarie della controllata. Tutti questi criteri calzano a pennello su società come Cdp, Poste, Terna ed Enel. Ma, ad esempio, non valgono per Eni, che basa gran parte del suo business all’estero ed è meno dipendente dalla regolamentazione locale. Enel, invece, oltre a mantenere una buona fetta delle sue attività in Italia, ha già beneficiato di un intervento generoso da parte del ministero dell’Economia e della Cdp in occasione dell’aumento di capitale da 8 miliardi varato nel 2009. Il rating Enel, infine, è stato persino suddiviso da S&P in stand alone, pari a tripla B, che sale ad A- se si include nella valutazione la garanzia statale. Nel caso delle banche S&P ha tenuto conto degli istituti che hanno maggiore concentrazione del business nel mercato domestico, anche se poi per ognuna delle realtà coinvolte ci sono sfumature diverse. Quello che sinora l’agenzia non ha preso in considerazione è l’esposizione verso i titoli di Stato pubblici: se questo dovesse avvenire, il paniere degli istituti passibili di “effetto cascata” sarebbe destinato a crescere. Infine gli enti locali, di recente finiti nel mirino di Moody’s perchè strozzati dalla manovra. La revisione a maggio ha interessato quelli che avevano rating non inferiore a quello dello Stato. Il criterio, in questo caso, è che S&P non può lasciare loro un merito superiore a quello della Repubblica, a meno che non presentino requisiti di forte indipendenza finanziaria che di fatto nessuno possiede.

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