Decreto del fare, un emendamento salva auto blu e superstipendi

Il taglio del 50% delle spese per le auto blu non si applicherà alle società controllate dallo Stato. Con un emendamento al decreto-legge del fare, approvato dalle commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera, vengono cambiate le regole fissate con il decreto-legge spending review. La norma stabiliva che, a partire da quest’anno, le amministrazioni pubbliche e le società dalle stesse amministrazioni controllate “non possono effettuare spese di ammontare superiore al 50% della spesa sostenuta nell’anno 2011 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi”.
Con la norma approvata dalle commissioni si stabilisce che la norma contenuta nella spending review “si interpreta nel senso che le previsioni e i termini ivi previsti non si applicano alle società quotate e alle loro controllate”.

Un altro emendamento – di Sanna (Pd) e Sisto (Pdl), relatori del decreto fare – inserisce un comma 5-ter alla spending review di Monti (articolo 23-bis) che consentirà ad alcuni amministratori pubblici di non avere un tetto ai loro compensi. Almeno non quello fissato per gli altri – le società non quotate – e pari al massimo “al trattamento economico del primo presidente della Cassazione” (circa 300 mila euro). Ebbene i manager delle società non quotate “che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica”, recita l’emendamento, ovvero che erogano “servizi in favore dei cittadini” (come Poste, Ferrovie dello Stato, Anas?), saranno remunerati secondo “le migliori pratiche internazionali” e tenuto conto “dei risultati aziendali”.

Altra modifica alla spending review è lo slittamento di un anno dei termini concessi a regioni e comuni per recedere dai contratti di affitto, anche in deroga agli accordi stabiliti da contratto. La proposta di modifica interviene sul decreto legge spending review, e in particolare sul capitolo che stabilisce la “razionalizzazione del patrimonio pubblico e la riduzione dei costi per locazioni passive”. La norma consentiva a regioni e gli enti locali di recedere dal contratto, “entro il 31 dicembre 2012, anche in deroga ai termini di preavviso stabiliti dal contratto”. L’emendamento approvato dalle commissioni sposta di un anno il termine, portandolo al 31 dicembre 2013.

Arrivano anche misure per la semplificazione dei contratti pubblici. La documentazione di idoneità per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture dovrà essere acquisita attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Nel dettaglio, la proposta di modifica stabilisce che “per contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni” la documentazione “comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario è acquisita esclusivamente attraverso la banca dati” prevista dal decreto legislativo del 2006 sul codice dei contratti pubblici. La nuova procedura si applicherà a partire da tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della provvedimento.

È polemica sulla norma salva-sindaci
Seppur a scoppio ritardato scoppia la polemica per l’approvazione della norma che salva lo scranno dei deputati-sindaci, inserita dalle commissioni Bilancio e Affari costituzionali nel decreto del fare due giorni fa. Una norma frutto di un emendamento «tripartisan», firmato cioè da esponenti di Pdl, Pd e Sel, ora disconosciuto anche da altri parlamentari degli stessi partiti ma di correnti diverse dai proponenti.
C’è da vedere se il comma reggerà la prova dell’Aula, la prossima settimana mentre su altri punti del decreto ci sono contrasti anche all’interno del Governo e della maggioranza, come quello riguardante l’urbanistica e l’edilizia.
Martedì le Commissioni hanno approvato un emendamento di difficile lettura per i rimandi a precedenti leggi: con tale passaggio veniva abolita l’incompatibilità tra la carica di deputato e quella di sindaco dei comuni con più di 5.000 abitanti, fino alle prossime amministrative: in pratica fino al 2015. A trarne beneficio una ventina di parlamentari, per lo più sindaci di comuni medi, il più famoso dei quali è Vincenzo De Luca, primo sindaco di Salerno e viceministro. A chiederne le dimissioni M5S e il Pdl: alcuni parlamentari berlusconiani campani, come Mara Carfagna e Vincenzo Fasano, hanno annunciato il loro «no» in Aula.
L’emendamento firmato per il Pdl dallo scajoliano Ignazio Abrignani, per il Pd dal bersaniano Nico Stumpo e per Sel da Martina Nardi, non è piaciuto dunque non solo ad altri esponenti del Pdl, ma anche in casa Pd. I deputati renziani hanno anche loro annunciato il niet in Parlamento e anche Scelta Civica non lo ha firmato. A prendere le distanze è stato anche il capogruppo del partito di Nichi Vendola, Gennaro Migliore, che ha annunciato il ritiro della firma del suo gruppo e il voto contrario lunedì in Aula. I due gruppi maggiori, Pd e Pdl, dovranno ora valutare l’opportunità di continuare a sostenere una norma bollata come ad castam da Riccardo Fraccaro del M5S. Le commissioni hanno oggi approvato due altri emendamenti che hanno abrogato altrettanti articoli della spending review del governo Monti: uno ha risuscitato la Arcus spa, chiusa da Monti, e l’altro ha evitato l’applicazione alle società pubbliche quotate del taglio del 50% delle spese sulle auto. Le commissioni si sono invece bloccate su alcuni nodi, tra i quali un articolo che introduce la possibilità di demolire e ricostruire singoli edifici modificandone le sagome attraverso la Scia (una procedura semplificata) in tutte le città compresi i centri storici.

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