Corruzione senza autorità

Fonte: Il Sole 24 Ore

Le misure anticorruzione vanno nuovamente in scena. Riprende, infatti, domani nell’aula del Senato la discussione del grappolo di disegni di legge, tra cui quello governativo, che intende porre un argine alle tangenti nella pubblica amministrazione. Appuntamento non scevro di rischi per il Governo, che mercoledì scorso è stato battuto due volte sull’emendamento che istituisce l’autorità anticorruzione e giovedì ha dovuto fare marcia indietro su una nuova proposta di modifica sempre relativa al ruolo del controllore anti-mazzette. Tanto più che la ripresa dell’esame avviene con i risultati dei referendum ancora caldi. Il dibattito riparte dall’autorità che deve vigilare sui fenomeni di corruzione, che sulle prime il governo voleva incardinare a Palazzo Chigi, salvo poi, dopo il “no” dell’aula, ripiegare sulla soluzione di affidare le funzioni di controllo alla Civit, l’organismo che finora ha lavorato all’operazione di trasparenza ed efficienza degli uffici pubblici e che, sulla carta, ha la denominazione di “autorità”, anche se poi risulta legata al ministero della Pubblica amministrazione di Renato Brunetta. Anche questa ipotesi, alla fine, è rientrata. L’opposizione, infatti, ha dato battaglia e preme perché, in ossequio alla convenzione Onu dell’ottobre 2003 (siglata dal nostro Paese nel dicembre di quell’anno e poi ratificata nel 2009 con la legge 116), l’organismo che deve vigilare sui fenomeni di malaffare all’interno degli uffici pubblici sia un’autorità veramente indipendente. In buona sostanza, si tratterebbe – come emerge anche dalle riflessioni di diversi esponenti dell’opposizione – di ritornare al “vecchio” commissario anticorruzione, di cui l’Italia di era dotata nel 2003 e che, con alterne vicende, ha funzionato fino al 2008, quando il decreto legge 112 l’ha cancellato, per poi far nascere dalle sue ceneri il Saet (Servizio anticorruzione e trasparenza), che è un ufficio del ministero della Pubblica amministrazione. Oltre ad aver perso l’autonomia, il Saet è stato anche parecchio ridimensionato rispetto al commissario, con personale ridotto all’osso e un’attività che, in buona sostanza, è limitata alla rappresentanza nelle sedi internazionali e alla predisposizione della relazione da presentare ogni anno al Parlamento. La distanza fra maggioranza e opposizione sulla fisionomia della nuova autorità anticorruzione dimostra che il nodo della riforma è, però, tutto politico. Non bisogna, infatti, dimenticare che il disegno di legge del Governo è stato presentato in Parlamento più di un anno fa e nonostante tutti riconoscano l’urgenza del problema, solo a fine giugno è arrivato in aula. Senza, tra l’altro, che in commissione si mettesse a punto un testo coordinato. Secondo il Governo, non c’è stato alcun ritardo voluto e nessuno – come ha affermato l’altro giorno al Senato il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo – ha inteso chiudere nel cassetto il provvedimento. Di diverso avviso le opposizioni, secondo le quali il fatto che il Ddl abbia sostato più di un anno in commissione non è accettabile. Soprattutto quando tutti dichiarano di voler combattere la corruzione.

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