Con l’aiuto dei fabbisogni standard le imposte locali diventano tracciabili

Fonte: Italia Oggi

Il decreto sul federalismo fiscale dei comuni segna il passaggio epocale dalla finanza derivata alla finanza autonoma. Il federalismo serve ad avvicinare chi governa a chi è governato. In Italia si è decentrato potere di spesa, ma non la responsabilità impositiva: questo ha favorito situazioni di inefficienza e non ha garantito un efficace controllo sugli sprechi. A danno delle tasche di tutti gli italiani. In un federalismo senza responsabilità il cittadino non vede, paga, vota «al buio». Il quadro attuale della tassazione locale è caotico, essendo costituito da ben 18 fonti di gettito, che vanno dall’Ici alla «tassa sull’ombra». Le finanze comunali, oltre a questa selva di tributi e gabelle si alimentano anche di trasferimenti statali e regionali per parecchi miliardi di euro assegnati in base alla stratificazione nel tempo del criterio della «spesa storica» che in Italia per ben 35 anni ha sistematicamente premiato gli enti inefficienti e penalizzato quelli virtuosi. Il risultato è l’antitesi di un serio federalismo, il cui presupposto sarebbe invece quello di riconoscere una reale autonomia e consentire al cittadino di giudicare con il voto l’amministrazione locale: per Tocqueville la democrazia iniziava con la pubblicazione del bilancio sulla casa comunale. Lo scopo della riforma è quindi quello di determinare il passaggio dalla finanza derivata a quella autonoma, sostituendo oltre 11 miliardi di trasferimenti statali annui, assegnati in base al criterio irrazionale della spesa storica, con tributi propri e compartecipazioni. Vengono eliminate o accorpate ben 10 delle 18 attuali forme impositive. Le imposte locali diventano «tracciabili». Si tratta di una tracciabilità aiutata dai fabbisogni standard, che indicheranno per ogni comune la spesa opportuna per ciascuna delle funzioni fondamentali. Se prima un sindaco poteva facilmente aumentare l’addizionale Irpef e il criterio della spesa storica non consentiva alcun controllo agli elettori, già da fine 2011 un sindaco non potrà facilmente aumentare l’addizionale comunale in presenza di una spesa esorbitante i nuovi fabbisogni standard, visibili da chiunque sul sito del comune. Si permette così al cittadino di esercitare il controllo democratico sui livelli di governo che sono più prossimi alla loro vita. Il controllo esercitato nella sequenza «vedo-voto-pago». In sintesi estrema, nella prima fase, è prevista la devoluzione ai comuni dei gettiti dei tributi immobiliari, nella seconda fase, che parte nell’anno finanziario 2014, inoltre, saranno introdotte nell’ordinamento fiscale due nuove forme di tributi propri dei comuni, in sostituzione di tributi esistenti: un’imposta municipale propria sulla proprietà immobiliare destinata, ferma restando l’esenzione sulla prima casa, a ricomprendere l’attuale Ici, nonché l’Irpef relativa ai redditi fondiari; un’imposta municipale secondaria, sull’occupazione di beni demaniali o del patrimonio indisponibile, anche a fini pubblicitari. Resta ferma, anche a regime, la disciplina della cedolare secca sugli affitti. Infondata è l’affermazione che il federalismo fiscale determinerà un aumento delle tasse locali. Nessuna ulteriore imposizione viene introdotta per effetto del decreto. Il decreto sul fisco comunale invece riduce le imposte: l’imposizione sui redditi da affitto passa al 19% e al 21%, rispetto a un’aliquota che oggi può superare il 40%. Le imposte sui trasferimenti immobiliari vengono ridotte di un 1%. L’aliquota dell’Imu (la nuova imposta municipale propria, che sostituisce Ici e Irpef fondiaria) è un’aliquota di equilibrio rispetto alle imposte che accorpa: è quindi a saldo zero per la pressione fiscale complessiva. Il comune ha infatti la possibilità di variare in aumento o in diminuzione del 0,3% l’aliquota dell’Imu. Se il comune mantiene l’aliquota allo 0,76% stabilito dal decreto ci sono importanti risparmi. È importante precisare che è nella facoltà del comune prevedere la riduzione dell’Imu fino alla metà per gli immobili produttivi e quelli dei soggetti all’Ires. In questo caso le imprese commerciali e tutti i soggetti Ires pagheranno circa la metà di quanto pagano oggi. In questo ventaglio di possibilità rimesse all’autonomia impositiva dei comuni, si gioca la partita del federalismo fiscale, che in quadro perlomeno di garantita invarianza della pressione fiscale complessiva, avvicina i governati ai governati, permettendo il controllo dei secondi sui primi in merito al trade off tra quanto si paga in imposte e i servizi che si ricevono. Un altro aspetto fondamentale della riforma è che i comuni saranno responsabilizzati in modo nuovo ed efficace nella lotta all’evasione fiscale

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